domenica 16 dicembre 2018

R.E.O.P.A.



Ho iniziato a studiare Time Management attorno agli anni 2000. Oggi mi riesce veramente difficile capire se il processo che io chiamo R.E.O.P.A. nasce più probabilmente dal metodo di David Allen piuttosto che dal TMI International. Poco importa ….
Ritengo che il Time Management sia una competenza molto difficile. Richiede disciplina e volontà. Direi molta leadership su sé stessi. Ma passiamo al processo, sono 5 fasi da seguire con rigore.

RACCOGLIERE. Siamo bombardati da informazioni che arrivano da tutte le parti: mail, messenger, conversazioni, incontri, fogli di carta, idee personali…. In questa fase dobbiamo raccogliere tutto in meno contenitori possibili: mano a mano che arrivano stiamo ben attenti a raccoglierle in "luoghi" che dovremo svuotare nella fase successiva.

ESAMINARE. Se abbiamo lavorato bene avremo tutte le informazioni raccolte in pochi e controllati "contenitori". E' il momento di passarle al setaccio per esaminarle. Cosa sono ? Riguardano una attività che ho in corso ? Mi servono per raggiungere i miei obiettivi ? Che risultati importanti possono darmi ? Una serie di domande ci permetterà di delegare/archiviare/cestinare, oppure di proseguire inserendo le informazioni nel sistema di gestione.

ORGANIZZARE. Se le informazioni sono passate attraverso il "filtro" della fase precedente, entrano nel sistema di gestione e sono inserite in Attività. Le informazioni arrivate potrebbero cambiare la data della prossima azione precedentemente decisa, o forse la prossima azione stessa. Oppure potrebbe essere sufficiente archiviarle nell'attività pronte ad essere utilizzate appena l'attività è schedulata.

PIANIFICARE. Una volta organizzate tutte le informazioni è il momento di pianificare la ToDo list giornaliera. Settimanalmente (di solito il venerdì) è indispensabile "alzarsi di livello" e vedere la situazione della pianificazione delle Attività. Alla fine del mese "ci si alza" ancora di più per vedere la situazione dei progetti. Una volta all'anno è il caso di pianificare gli obiettivi.

AZIONE. Le 4 fasi sopra hanno generato l'organizzazione delle informazioni e la pianificazione del calendario e della ToDo List. E' il momento di passare al lavoro agendo sulle attività definite, senza dimenticarci che ogni attività non è finita fino a che non ci siamo chiesti "Qual è la prossima azione e quando ?".




mercoledì 28 novembre 2018

Cosa sono le Soft Skills ?

Nel mondo della formazione si parla spesso di Soft Skills. Ma cosa sono veramente? Ho provato spesso a cercare una definizione.


Continuando a navigare si può trovare di tutto:
- caratteristiche personali importanti in qualsiasi contesto lavorativo
- riguardano le capacità comportamentali e relazionali di un individuo e che possono essere applicabili a una vasta gamma di settori.
- sono le soft skills, ovvero le competenze trasversali, a renderci più attrattivi e performanti sia in fase di selezione che sul posto di lavoro.
- Per soft skill intendiamo una particolare abilità e competenza di un soggetto propedeutica all’interazione efficace e produttiva con gli altri, sia sul posto di lavoro che al di fuori di esso.
- …..

Nella varietà delle definizioni mi permetto di dare il mio contributo, proponendo la mia personale definizione:
Le competenze Comportamentali (Soft Skills) sono una serie di abilità, guidate da relative conoscenze, che permettono alla persona di adottare precisi comportamenti al fine di rendere le situazioni di vita efficaci ed efficienti.

Nella mia definizione ci sono alcune parole che ritengo importanti: innanzi tutto la presenza di “abilità” che vengono guidate consapevolmente da “conoscenze” acquisite. Questo per garantire la definizione di Competenza = abilità + conoscenza.
Importante sottolineare che le competenze servono per adottare “comportamenti” precisi, scelti e definiti dalla persona, direi in modo “consapevole” e non casuale o inconsapevole.
Infine lo scopo: adottare precisi comportamenti serve per rendere la situazione che stiamo vivendo efficace ed efficiente. Chiaramente è importante avere chiaro gli obiettivi per cui stiamo operando, altrimenti sarebbe difficile definire l’efficacia e l’efficienza.

Interessante anche capire qual è la differenza tra le Soft Skills (Competenze Comportamentali) e le Hard Skills (Competenze Tecniche) da un punto di vista di apprendimento. Per spiegarmi farò uso dello schema che trovate sopra a questo Post.
Riparto dalla definizione: ci servono abilità e conoscenze, e su questo Hard e Soft sono uguali. La differenza fondamentale sta sul livello di generalizzazione delle conoscenze. Nelle Hard il livello di generalizzazione delle conoscenze teoriche è basso: generalmente si tratta di regole o precisi processi. Pensiamo alla grammatica di qualsiasi lingua (regole grammaticali) o alla sequenza di comandi necessaria per svolgere una funzione con un software. Alla persona non è richiesta molta “interpretazione”: deve eseguire con precisione le regole e le norme che la conoscenza detta, sviluppare abilità con la ripetizione e l’allenamento, e la competenza è acquisita.

Con le Soft Skills invece il livello di generalizzazione della conoscenza è elevato. Si parla di “concetti”, “principi”, “assiomi”, “modelli teorici”. La conoscenza è molto più astratta e richiede alla persona molta interpretazione per “portare a terra” e trasformare “la teoria in pratica”. Questa possibilità di ampia interpretazione comporta che lo stesso “concetto” possa essere applicato e trasformato in migliaia di comportamenti diversi. Quale sarà quello corretto? L’efficacia e l’efficienza può essere data solo dal risultato della situazione.
Penso che sia per questo motivo che le Soft Skills siano una materia difficile: richiedono alla persona molto più lavoro deduttivo (dal generale al particolare). La formazione e lo studio della conoscenza sulle Soft Skills non danno la ricetta di come comportarsi, forniscono ingredienti. La persona che studia le Soft Skills nel suo lavoro deduttivo è chiamata a prendere decisioni rischiose: di solito non c’è una risposta nella conoscenza; ci sono solo scelte e i risultati vanno chiaramente definiti se si vuole essere performanti.


sabato 1 settembre 2018

The SketchNoteBook 2.0


Sono passati già 4 anni dall'uscita della prima versione del mio personale manuale sulle SketchNote. Era giunto il momento di creare un "Upgrade" del manuale per svariati motivi. 
E' stato un manuale che ho utilizzato in numerosi corsi di SketchNote, e direi che ha svolto la sua funzione. Proprio durante questi corsi mi sono però reso conto di numerosi miglioramenti che avrei potuto portare. Il primo è sicuramente il formato: sono passato da un 21x21 cm ad un "semplice ed agile" formato A4. Questo permetterà sicuramente di stamparlo agevolmente.
Ho riflettuto molto se realizzarlo con una orientazione "landscape" (orizzontale) o "portrait" (verticale). Alla fine ho optato per l'orientamento "landscape" privilegiando l'uso di un PDF sul monitor di computer o con il tablet.
Ho tolto poi tutte le pagine che avevano lo sfondo nero: troppo spreco di inchiostro durante la fase di stampa.
Infine un mucchio di sketch che avevo realizzato 4 anni fa, le reputavo ad oggi "terrificanti" …. questo a riprova di quanto si possa migliorare facendo esercizio.

Eco qui quindi SketchBook 2.0.

Ho anche riflettuto se pubblicarlo nuovamente sul canale "classico" del libro stampato ed ho poi pensato di orientarmi solo sulla diffusione digitale. Questo perché mi permetteva anche di poter proporre la condivisione e non la vendita di questo prodotto. Questo argomento mi interessa molto: da un lato ho il timore che se un lavoro non ha un prezzo economico, non si riesca ad assegnargli un valore intrinseco. Dall'altro non ho nessuna intenzione di guadagnare dalla condivisione di un sapere che non sento mio. 
Come uscirne ? Ho pensato a tre possibilità già collaudate con le SketchNote Card.
Sulla pagina di Gumroad di SketchNoteBook 2.0 troverete tre opzioni per scaricare il file:

1. Free: basta inserire "0 €" nel prezzo, ma se lo scarichi per lasciarlo nel computer e non utilizzarlo … allora non scaricarlo.

2. Free and Share: ti propongo uno scambio: tu lo scarichi (basta inserire 0 € nel prezzo) ed in cambio lo condividi via mail con un amico, all'interno del tuo blog, sito, pagina facebook.
Ecco il link: https://gum.co/sketchnotebook_2_0

3. Donate: decidi tu il valore che vuoi dare a questo lavoro, inserisci la cifra e scarica. Pensa che stai dando un valore che sarà direttamente proporzionale all'uso che ne farai.

Buona lettura e buone sketch !



lunedì 27 agosto 2018

Dinamiche di Evoluzione dei Gruppi


Sono tre i modelli di evoluzione dei gruppi che mi hanno più influenzato: Tuckman, Lencioni e TPM di Drexler & Sibbet.
Il modello di Tuckman lo considero quasi un “classico”, risale al 1965 ed ha dalla usa la “semplicità” di modellizzare l’evoluzione in solo 4 fasi ( anche se poi nel 1977 ha aggiunto la 5° fase: adjourning).
Lencioni nel suo testo “La guerra nel Team” descrive 5 disfunzioni insite nei team. Personalmente lo reputo interessante perché mette al centro dell’evoluzione del gruppo aspetti “comportamentali” umani.
Infine il TPM di Drexler & Sibbet: è un modello preciso, ma forse troppo dettagliato per essere ricordato con facilità senza avere sottomano lo schema grafico.
Sicuramente questi modelli mi hanno influenzato nell’elaborare un mio personale modello: in questo senso non penso di essermi inventato nulla di nuovo, ma solo assemblato e riordinato una serie di modelli e concetti che mi guidano oggi nell’osservazione dei gruppi.
[Relationship]: non penso possa essere definita una “fase”, in quanto non finisce mai. La relazione è direttamente proporzionale alla conoscenza e alle esperienze che si fanno assieme. Sicuramente quando un gruppo di persone nuove si incontra questo momento di creazione di relazione è molto evidente. Ognuno cerca di conoscere le persone attorno e cerca di farsi conoscere dando una certa impressione di sé. Consciamente o inconsciamente le persone cercano uguaglianze e diversità; giudicano, esprimono opinioni, “attaccano” etichette agli altri. Ma anche quando la frequentazione dura molto tempo si continua a “conoscere” le persone. Le persone “cambiano” nel tempo: un evento personale può far cambiare molto caratteri e comportamenti e si è sempre attenti a registrare questi cambiamenti. In questo modo le relazioni diventano più salde o addirittura possono finire. Direi che la variabile più importante di questa fase è sicuramente la Fiducia (o la sfiducia). Come vedremo più avanti la presenza (o meno) di questa sensazione è fondamentale per la dinamica che può assumere il gruppo.
Ho osservato che un gruppo di per sé non parte in nessuna dinamica se non viene “ingaggiato” attraverso un [Obiettivo] o gli viene affidato un [Compito]. Questo evento è fondamentale e scatena le fasi successive del gruppo. La presenza di fiducia (o di sfiducia) aumenta la probabilità che la dinamica prenda due “strade” diverse ed opposte: una ascendente (verso buone performance) una discendente (verso scarsi risultati). Queste “strade” sono caratterizzate dalla successione di cicli di [Storming] e [Working].

DINAMICA ASCENDENTE
il compito o l’obiettivo porta il gruppo in [Storming]. Si tratta di una “tempesta” di idee, punti di vista, esperienze passate, opinioni, obiettivi personali. Se nelle relazioni prevale la fiducia con grande probabilità nello storming prevarrà il confronto (Lencioni parla di Conflitto Costruttivo). Altre variabili fondamentali per innescare una dinamica ascendente saranno il Focus verso l’obiettivo del team (e non verso obiettivi personali), la capacità di definire un Piano D’Azione (cosa fare, chi lo fa e quando) ed il fatto che le persone della squadra provino una sensazione di “ingaggio” verso l’obiettivo. Se sono presenti e prevalgono queste variabili con buona probabilità il gruppo passerà al lavoro [Working] ed otterrà dei risultati, magari non eccezionali ma pur sempre dei risultati. In questa fase di lavoro ci sono tre variabili indispensabili: impegno delle persone verso il compito, assunzione di responsabilità personale verso il proprio ruolo.
La fine di questa prima fase di lavoro [Working] è un momento delicato in cui si gioca la possibilità che il gruppo rimanga in una dinamica ascendente. I primi risultati sono oggetto di discussione: il gruppo ritorna in [Storming]. La presenza di un Leader è fondamentale, perché dovrà garantire che lo [Storming] non sia “casuale” o “nascosto” tra le persone, ma strutturato e alla luce del sole. La struttura sarà data dall’applicazione del ciclo di Deming (https://en.wikipedia.org/wiki/PDCA) in quanto il gruppo deve prendere una dinamica di miglioramento continuo: si parte da una fase di analisi del lavoro precedente svolto (Check) e dei risultati raggiungi. Fondamentale in questo momento che l’errore sia utilizzato del gruppo come una fonte di miglioramento (e non come una fonte di conflitto come avverrà nella fase discendente). Dalla fase di analisi il gruppo dovrà individuare degli apprendimenti e delle azioni di miglioramento (Act) per poi pianificare la fase di lavoro successiva (Plan). Sarà fondamentale introdurre una cultura di “Feedback” all’interno del gruppo, per scalzare la naturale tendenza al giudizio e alla colpa. Se il gruppo persegue in questa sequenza di [Storming] strutturati rivolti al miglioramento e di successivi [Working] la dinamica sarà ascendente ed il gruppo raggiungerà con grande probabilità risultati eccellenti, processi fluidi ed il clima relazionale tra le persone sarà positivo.
La mia personale (e quindi limitata) esperienza mi ha portato ad osservare che la dinamica vista qui sopra sia poco probabile in un gruppo in forma “naturale”. La mia impressione è che i gruppi non riescano ad innescare questa dinamica se non siano presenti delle culture e delle competenze all’interno del gruppo. Il ruolo della leadership è fondamentale: un leader che ha chiaro questa dinamica e che facilita la sua applicazione nel gruppo aumenterà notevolmente le probabilità che il gruppo imbocchi la fase ascendente.
DINAMICA DISCENDENTE
Se dopo l’arrivo del compito e/o obiettivo il gruppo entra un uno [Storming] caratterizzato dalla Sfiducia reciproca, la probabilità che il gruppo entri un conflitto di idee, punti di vista ed opinioni diverse è elevata. Ma (sempre per mia limitata esperienza) le persone hanno inizialmente paura del conflitto, e questo porta il gruppo ad entrare in una sorta di Armonia Artificiale. Lusinghe ed accettazione prevalgono, il gruppo sembra affiatato e coeso, ma in realtà le persone accettano e subiscono pur di non confliggere in nome del quieto vivere. Una caratteristica sempre molto evidente in questa fase è l’ironia: il gruppo scherza ed è forzatamente “simpatico”: in sostanza sta sminuendo il compito e cerca di tenere un clima positivo per non creare e provare sensazioni spiacevoli. In questa dinamica il Focus è lontano dall’obiettivo del team ed è prevalentemente centrato sull’Ego. Normalmente questo accade anche perché il gruppo è disinteressato all’obiettivo, le persone non sono coinvolte.
Uno [Storming] di questo tipo porta il gruppo ad un [Working] con basso impegno e conseguenti bassi risultati. Frequente in questa fase osservare che le persone non si assumano la responsabilità del proprio ruolo e dei risultati che portano: Prevale la frase “non è colpa mia”. La presenza di Locus Of Control esterno (vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Locus_of_control) aumenta la probabilità di questa dinamica. IN questa situazione i risultati solitamente non sono qualitativi o soddisfacenti. Se questa tipologia di cicli si ripete più volte con buona probabilità gli [Storming] diventeranno di due tipi: assenti o lunghi conflittuali ed inefficaci. Saranno assenti se le persone del gruppo non riescono a gestire il conflitto aperto, in realtà gli [Storming] saranno nascosti nei corridoi o alle macchinette del caffè e vissuti da sottogruppi che creano alleanze nascoste. Se pubblici probabilmente saranno conflittuali o completamente silenti, perché il gruppo non sa gestire il conflitto. Il Focus è totalmente rivolto allo Status e all’Ego, l’errore è vissuto come una fonte di conflitto, prevale la scusa, lo scarico di responsabilità e l’assegnazione di colpe all’esterno.
Se la dinamica procede in questo modo le fasi di [Working] saranno sicuramente caratterizzati da basso impegno, processi inefficaci e porteranno quindi a risultati insoddisfacenti. Un termometro di questa situazione è sicuramente il Clima relazionale che risulterà molto basso.

CONCLUSIONI:
Come già scritto sopra personalmente non ho mai osservato gruppi che riescano a perseguire una fase ascendente senza la presenza di Competenze specifiche. Condivido il pensiero di Lencioni quando parla di “disfunzioni” insite all’interno dei gruppi di lavoro: sembrerebbe che in modo naturale non siamo capaci di lavorare in squadra ma lo diventiamo solo se sappiamo apprendere delle competenze specifiche. Tra queste sicuramente evidenzierei:
- Intelligenza Emotiva
- FeedBack
- Ascolto
- Negoziazione & Gestione Conflitti
- Project Management
Risulta quindi evidente che il “TeamWork” è una competenza da apprendere: richiede messa in discussione personale, studio ed allenamento.

domenica 8 aprile 2018

Formazione vs. Apprendimento


Organizzare formazione o facilitare l'apprendimento ? Ma che differenza c'è ? A volte è importante perdersi nelle definizioni delle parole.

La "formazione" è una serie di attività ed azioni intraprese o promosse da uno o più agenti allo scopo di determinare cambiamenti nelle conoscenze, nelle abilità e negli atteggiamenti degli individui e/o gruppi.

Il termine "apprendimento", per contro, mette al centro la persona nella quale il cambiamento si produce o è atteso. l'apprendimento è il processo attraverso il quale il cambiamento delle conoscenze, delle abilità e dei comportamenti sono acquisiti (Boyd, 1980).

C'è una corrente di pensiero che reputa sufficiente organizzare formazione: attraverso azioni di controllo, modellamento e rinforzo le persone dovrebbero cambiare. C'è una corrente che invece pensa all'apprendimento come un processo centrato sull'uomo. Carl Rogers sottolinea che l'apprendimento necessita di:

1. coinvolgimento personale: la persona deve essere coinvolta cognitivamente ed emotivamente
2. auto-iniziazione: la spinta all'apprendimento delve arrivare dall'interno
3. pervasività: il vero apprendimento cambia comportamenti, atteggiamenti e personalità delle persone
4. valutazione: solo il discente sa se l'apprendimento soddisfi le sue esigenze
5. il significato è nell'esperienza: quando c'è vero apprendimento la formazione è un'esperienza

Chi lavora in questo settore deve fare una scelta: formatori o facilitatori di apprendimento ?

domenica 25 marzo 2018

5 regole per usare i Post-It



Come al solito la differenza la possiamo fare stando attenti a piccoli particolari. Qui di seguito 5 regole (dal mio punto di vista) fondamentali per usare al meglio i Post-it:

- 1 concetto = 1 Post-it. Attraverso questa regola otteniamo la "parcellizzazione" delle idee/pensieri/concetti che stiamo trattando. Se "parcellizzate" potranno essere poi spostate, modificate, accartocciate a nostro piacimento. Uno degli errori più frequenti è invece scrivere più idee/pensieri/concetti nello stesso Post-It. In questo modo non saremo più in grado di trattarli in modo separato.
- Scrivere più grande possibile. In questo modo i Post-it sono visibili anche da lontano.
- Utilizzare Parole Chiave. Post-It piccoli e (come vedremo con la regola dopo)  pennarelli grossi  aiutano le persone a sintetizzare. I Post-it devono servire ad "agganciare" e ricordare le idee, non a "trasportare" frasi.
- Usare un pennarello. Una punta grossa in un Post-it aiuterà a sintetizzare e renderà il Post-it visibile da lontano.
- Scrivere in stampatello. Il Post-it deve essere facilmente leggibile da tutti per poterlo "utilizzare" durante il lavoro. Più è difficile da leggere un Post-it e più probabilità abbiamo che non venga utilizzato e quindi che l'idea vada persa.

Buon lavoro.

domenica 25 febbraio 2018

GameStorming

Nel 1965 Bruce Wayne Tuckman ci regala un modello comportamentale molto chiaro sulle dinamiche dei gruppi. Personalmente penso spesso la versione senza Adjurning (aggiunta da Tuckman nel 1977), in quanto penso che sia naturale nello spostarsi attraverso le 4 fasi iniziali.


Di tutte le fasi penso che la più delicata sia lo Storming: in una fase in cui un gruppo di persone per loro natura diverse in termini di opinioni, idee, culture, esperienze si trova a confrontarsi, ritengo che una "tempesta" sia più che naturale.
E' in questa fase in cui la leadership può esprimersi al meglio, aiutando il gruppo a non trasformare la "tempesta" in un conflitto, ma in un confronto generativo.

Vedo Storming ogni giorno nelle organizzazioni, nelle situazioni più comuni ...
- riunioni di progettazione
- riunioni di Stato Avanzamento Lavori
- momenti di confronto su qualsiasi tema quotidiano
- discussioni alla macchinetta del caffè
- scambi di mail .....
- etc etc etc

Uno strumento a disposizione del leader possono essere sicuramente i GameStorming, definiti da Wikipedia come un "set di pratiche per facilitare l'innovazione nel mondo del business".
L'idea è (secondo me) geniale: introdurre le componenti basiche del "gioco" all'interno di interazioni tra le persone ...
- uno spazio di gioco, dove i ruoli della vita ordinaria sono temporaneamente sospesi e rimpiazzati dai ruoli del gioco
- confini di spazio, ma soprattutto di tempo
- regole
- artefatti e strumenti
- obiettivi

Un esempio famoso di GameStorming è sicuramente il Draw Toast, ben spiegato nel video di TED da Tom Wujec.
Consiglio a tutti il sito Gamestorming e il relativo libro "Gamestorming: A Playbook for Innovators, Rulebreakers, and Changemake"

Chiudo pensando al mondo della formazione esperienziale: i GameStorming sono uno strumento perfetto per le fasi di riflessione (induzione e deduzione). Direi anzi che i GameStorming sono come le Small Techniques per l'esperienza, con la differenza che mentre le Small Techniques rimangono metaforiche, i GameStorming possono essere applicati immediatamente alla realtà lavorativa quotidiana. In poche parole la deduzione (una delle parti più difficile del ciclo esperienziale) è praticamente garantita.

domenica 7 gennaio 2018

Attenzione Push o Pull ?



Viviamo in un mondo ricco di stimoli che catturano la nostra attenzione. Con una metafora del mondo produttivo direi che viviamo un processo "Pull": gli stimoli che arrivano ai nostri sensi focalizzano la nostra attenzione su quello che il mondo esterno ci chiede di percepire. Smartphone, computer, radio, televisioni, luci, vetrine, altoparlanti ... è come se la nostra attenzione fosse guidata da quello che gli altri vogliono farci percepire.

Sempre usando la metafora della produzione penso a come allenare la mia capacità "Push": decidere e guidare la mia attenzione agli input che mi interessano o che voglio vedere.
Wikipedia definisce l'attenzione come "un processo cognitivo della mente che permette di selezionare stimoli ambientali, ignorandone altri. [....] È tipicamente un processo passivo ovvero una reazione istintiva o neurofisiologica del cervello a stimoli esterni o interni sensoriali ed è distinta dalla concentrazione mentale che è invece un atto della mente in cui è implicata la volontà."
Nella seconda parte della definizione c'è un aspetto interessante: per passare da Pull a Push ci vuole volontà, in questo modo l'attenzione diventa concentrazione. Quindi si tratta di metterci "intenzione".

Mi pongo quindi due domande:

1.quanto ogni giorno sono in grado di passare dal "subire" alla "volontà", dal "Pull" al "Push"?
In termini di comportamento quotidiano significa:
- disattivare avvisi di e-mail, disattivare whatsapp ..
- spegnere la televisione, la radio ..
- mettere Outlook "offline" mentre si lavora, guardare la posta elettronica solo nei momenti in cui ho deciso di lavorarci
- stare in una riunione con i colleghi senza guardare lo smartphone ma osservando quello che succede attorno a me (qui e ora)
- prendere un mezzo pubblico e guardare le persone attorno a me

2. Uno studio condotto nel 1967 da Albert Mehrabian  indica che il 93 % della comunicazione "passa" attraverso Non Verbale e Paraverbale. Se focalizzassimo la nostra concentrazione con volontà (quindi adottando un atteggiamento "push") osservando con attenzione il 93% della comunicazione dei nostri interlocutori, quanto svilupperemmo la nostra competenza di comunicazione ?