mercoledì 28 dicembre 2011

Barzellette

Ricordo un periodo della mia infanzia in cui andavano di moda le barzellette che iniziavano con “Ci sono un Italiano, un Tedesco ed un Inglese …..” Senza farla lunga andava sempre a finire che l’Italiano sapeva risolvere i problemi in modo creativo.

Questa ricerca di Linkedin (via Mauro Lupi’s blog) sulle parole più utilizzate nei profili rispetto alla nazione di appartenenza, mi ha fatto venire in mente le barzellette di infanzia.

Per gli Italiani la parola più usata è Problem Solving. Per i paesi di stampo anglosassone (USA, Inghilterra, Germania): Creatività.

Mi sorgono alcuni dubbi: nei paesi anglosassoni evidenziano la competenze “creatività” perché è un punto di forza rispetto alla loro tradizionale cultura organizzativa? In Italia la nostra tradizionale cultura a creare problemi ci ha veramente sviluppato anche la capacità di risolverli ?

Comunque il ricordo che ho delle barzellette è che l’Italiano risolveva sempre il problema, ma sempre con un artifizio e senza mai scoprire ed eliminarne la causa.

domenica 25 dicembre 2011

Cultura Organizzativa

T.E. Deal e A.A. Kennedy definiscono la Cultura Organizzativa un riflesso della “particolare miscela di valori e norme condivisi da persone e gruppi entro un’organizzazione, che fissano le modalità con cui interagiscono tra loro e con gli stakeholder al di fuori dell’azienda1. Charlene Li aggiunge che “i Leader affermano questi valori non a parole, ma premiando azioni e punendo comportamenti:”2

1T.E. Deal e A.A. Kennedy, Corporate Cultures: The Rites and The Rituals of Corporate Life, Penguin, Harmondsworth, 1982 (trad. it. Cultura d’impresa, Itaca, Milano, 1994)

2Charlene Li, Open Leadership, Rizzoli Etas, 2011.

domenica 11 dicembre 2011

Open Leadership

Open leadership. Dirigere con successo nell'era dei social networkSto finendo la lettura di “Open Leadership, dirigere con successo nell’era dei Social Network”. L’autrice, Charlene Li, spiega come “l’essere aperti” sia al giorno d’oggi un approccio ragionato e rigoroso alla strategia e alla leadership. Sono molto d’accordo con l’autrice quando dichiara che i nuovi Leader oggi devono “lasciare andare” il controllo, a favore delle persone e dei collaboratori.

All’interno del testo Charlene identifica due caratteristiche fondamentali degli “Open Leader”: curiosità ed umiltà:

  • curiosità: i Leader sono curiosi di conoscere il mondo intorno a loro perché cercano in modo insaziabile nuove opportunità per migliorare se stessi e ciò che li circonda.
  • l’umiltà svolge un ruolo peculiare: permette ai leader di accettare nuovi punti di vista e di mettere in dubbio le proprie opinioni su certi temi, messi in discussione dall’analisi dettate dalla curiosità.

Curiosità ed umiltà portano poi i Leader a possedere due mentalità fondamentali: ottimismo e collaborazione. L’umiltà genera la fiducia, e a sua volta la fiducia genera un ottimismo nei confronti degli altri. I leader aperti condividono pensieri, sentimenti ed azioni. La seconda mentalità fondamentale è l’inclinazione alla collaborazione con i colleghi di un team, ma anche con persone di altri reparti aziendali e perché no, anche con i clienti esterni.

Incrociando queste due mentalità si ottengono 4 archetipi di Open Leader:

diagramma leadership aperta

 

 

  • il Realista Ottimista che riconosce vantaggi e limiti dell’apertura. Sa collaborare e dare fiducia agli altri, comprende il contesto, accoglie con entusiasmo il cambiamento e lo vede come un’opportunità. Possiede pazienza e segue il processo anche a livello operativo. Stringe relazioni profonde a tutti i livelli dell’organizzazione.
  • l’Evangelista Trasparente è Ottimista ma fa fatica a collaborare, e per questo si ritrova ad essere un individualista. Gli manca la fiducia negli altri e fa fatica a mettere in dubbio il proprio punto di vista.
  • lo Scettico Preoccupato è l’esatto opposto del Realista Ottimista: pessimista ed individualista. Pensa che il successo arrivi dalle forze e dalle competenze dei singoli; ritiene che il segreto del successo sia l’individualità. Non ama il cambiamento, non crede nella tecnologia, non si confronta con gli altri, perché non considera interessanti i loro punti di vista.
  • Sperimentatore Cauto:è pessimista, ma comprende che senza collaborazione non si può procedere. E’ disposto ad ascoltare gli altri, ma il suo entusiasmo è temperato dal pessimismo.

Sicuramente le nuove modalità relazionali permesse dalla tecnologia (Social Network, blog, …) richiedono di sviluppare nuove competenze e comportamenti per i Leader. Il libro offre numerosi spunti e stimoli di riflessione, poi come al solito, la differenza i leader la faranno sul campo.

giovedì 8 dicembre 2011

IALT5

L’avventura dello IALT continua, sempre più intensa ….

domenica 27 novembre 2011

Comunicazione Emotiva

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Emittente

E’ il soggetto (o l’oggetto) che emette il messaggio, solitamente una persona che ha un obiettivo, una ragione per entrare in comunicazione.

Ricevente

E’ il soggetto (o l’oggetto) che riceve il messaggio. Anche nella situazione in cui un soggetto parla e l’altro ascolta (esempio professore-alunno), il ricevente non è mai solamente passivo: nella realtà genera numerosi e continui messaggi di Feedback (verbali e gestuali) che vengono registrati dall’emittente e che influenzano il modo in cui il suo discorso si sviluppa. All’interno del processo comunicativo il ruolo che gioca il ricevente è di fondamentale importanza, o meglio della “comprensione” da parte del ricevente. Partendo dalla considerazione che il significato di ogni messaggio viene interpretato da parte del ricevente sulla base del proprio sistema cognitivo, l’elemento centrale della comunicazione è proprio il modo in cui il ricevente comprende il messaggio, comprensione che è sempre in una certa misura imprevedibile e incontrollabile.

Codice

Il codice è il sistema di segni dai significati condivisi che ci permette di comunicare. I significati, ovvero le cose che vogliamo comunicare, sono inizialmente solo all’interno della nostra mente. Per poter uscire all’esterno, debbono essere codificati, ovvero tradotti in suoni, gesti, segni che possiedano un significato condiviso. Se non fossimo in grado di associare a una serie di segni discreti dei significati (ed è la società che ci porta a conoscere questi codici insegnandoceli fin dai primi giorni di vita) non potremmo comunicare nulla, o quasi nulla. L’uomo dispone di una complessa serie di codici di cui può fare un uso creativo: ad esempio il linguaggio, o i gesti, ecc.

Codifica e Decodifica

Gli studiosi descrivono con l’espressione “codificare” l’attività che l’emittente compie per emettere un messaggio che sia effettivamente significativo per l’ascoltatore. La codifica si riferisce al processo attraverso il quale l’emittente trasforma le sue idee e le sue intenzioni in parole, o simboli di altro genere, nel tentativo di renderle comprensibili agli altri. Dunque, le idee vengono codificate in messaggi, i quali vengono inviati al ricevente, il quale compie il corrispondente processo di decodifica. La decodifica è la trasformazione delle parole e degli altri simboli ricevuti in un significato, che può essere simile, esattamente uguale o anche completamente differente rispetto al significato iniziale, quello che l’emittente aveva in mente quando ha codificato la sua idea. L’attività di codifica è resa non banale dal fatto che il codice non è sempre condiviso, e dunque la decodifica non è sempre corretta. Quando un medico descrive una patologia al paziente utilizzando il suo gergo tecnico, non si rende conto che il messaggio non è correttamente decodificabile da parte del ricevente, poiché solo l’emittente conosce il codice utilizzato.

Emozioni

L’uso del Codice è direttamente proporzionale allo stato emozionale. Possiamo semplicemente dire che il Codice è “COSA” l’emittente comunica…. le emozioni definiscono “COME” la comunica. Un’emozione di irritazione determinerà una comunicazione “irritata”, un’emozione di felicità causerà una comunicazione “allegra”.

Non Verbale

Nel caso di una comunicazione “viso a viso”, oltre alla voce entra in gioco tutta la comunicazione non verbale. Il mondo del non verbale è molto vasto, mi limiterò ad una tabella riassuntiva:

 

Forme: Aspetti:
Sistema paralinguistico (Sistema vocale non verbale)
  • Tono
  • Frequenza
  • Ritmo e velocità
  • Silenzio
  • volume

Sistema cinestesico (movimenti del corpo)

  • movimenti oculari
  • mimica facciale
  • gesti
  • Postura

Prossemica (l’occupazione dello spazio)

  • Zona intima (da 0 a 50 centimetri)
  • Zona personale (da 50 cm ad 1 metro)
  • Zona sociale (da 1 m a 3 o 4 m)
  • Zona pubblica (oltre i 4 m)

Aptica (contatto fisico)

  • Stretta di mano
  • Pacca sulla spalla
  • Baci e abbracci
Canale

E’ il mezzo attraverso cui l’emittente veicola, o attraverso cui il ricevente ottiene, il messaggio. Può essere inteso sia come il mezzo sensoriale coinvolto nella comunicazione (principalmente udito e vista) sia come il mezzo tecnico esterno al soggetto con cui il messaggio arriva (telefono, fax, e-mail.).

Ogni canalizzazione di un messaggio produce necessariamente una “riduzione di complessità”. Quando comunichiamo, nella nostra mente possediamo un messaggio complesso, dotato di molte sfaccettature e molti livelli di significato: riversando questo messaggio all’esterno, siamo costretti a veicolarlo attraverso un codice, e a “semplificarlo” in modo che possa passare attraverso un canale.

I diversi tipi di canale si differenziano non solo sulla base dei contenuti che veicolano, ma anche sulla base del modo in cui risvegliano o alterano i pensieri e i sensi del ricevente. E’ molto diverso il processo percettivo che attiva una persona di fronte a un libro (canale visivo), ascoltando la radio (canale uditivo), di fronte a uno spettacolo televisivo (entrambi) o assistendo a una lezione universitaria, dove sono stimolati contemporaneamente la vista, l’udito, e tutti gli altri sensi attivi nella comunicazione interpersonale.

Ci sono dunque almeno tre modi di intendere il concetto di canale:

  1. come mezzo di comunicazione utilizzato
  2. come processo percettivo interessato dal segnale
  3. come “messaggio”, ovvero come insieme di processi percettivi che ogni canale stimola in modo differente, i quali influenzano il contenuto del messaggio co-determinandone il significato

Messaggio

E’ il contenuto di ciò che si comunica. E’ strettamente legato al concetto di informazione, e può essere un dato, una notizia o più semplicemente una sensazione, veicolata attraverso segni significativi (frasi, singole parole o suoni, gesti, espressioni, immagini, ecc.) E’ la parte “attiva” dell’atto comunicativo, quella che genera l’effetto di inviare all’ambiente esterno pensieri o informazioni prima contenute solo all’interno della mente dell’individuo che le emette. Il concetto di”messaggio”, apparentemente scontato, è in realtà difficile da afferrare. Se definiamo il termine messaggio dal punto di vista dell’emittente, esso è il mezzo attraverso cui viene veicolata o resa disponibile una informazione, e dunque ricercata un’influenza sociale, un effetto sul ricevente. Se lo definiamo dal punto di vista del ricevente, il messaggio è invece l’interpretazione che il ricevente fa dello stimolo proveniente dall’emittente. Non dobbiamo fare l’errore infatti di credere che il significato del messaggio sia contenuto all’interno del messaggio stesso. Il significato emerge solo dalla lettura contestuale del messaggio e di tutti gli altri elementi della comunicazione. Lettura contestuale che è possibile, però, solo dopo che un soggetto ha deciso di agire inviando al mondo un segnale.

Feedback

E’ la retrocomunicazione che il ricevente invia all’emittente mentre la comunicazione sta avvenendo. E’ una informazione di ritorno che permette all’emittente, mentre sta comunicando, di percepire se il messaggio è stato ricevuto, capito, approvato, ecc. e dunque di reagire, cercando la via più efficace per raggiungere il risultato che si è prefisso. Nelle normali comunicazioni facciamo un grande uso di feed-back per “aggiustare la mira” rispetto a quello che stiamo dicendo. Se siamo impegnati a convincere qualcuno di qualcosa, mentre parliamo osserviamo periodicamente l’interlocutore per cercare segnali che ci assicurino che stia ascoltando, che stia seguendo il ragionamento, che abbia capito. Se riceviamo segnali di senso contrario, ripetiamo alcune cose, o scegliamo un altro esempio, o alziamo il tono di voce, fino a quando non riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo (o decidiamo di rinunciare).

Contesto

E’ il “luogo” (fisico o relazionale) in cui avviene lo scambio comunicativo, ovvero la “situazione” in cui l’atto comunicativo si inserisce (e a cui si riferisce). Il contesto è parte integrante del messaggio, e può cambiare il significato del messaggio stesso: la frase “bene, molto bene” pronunciata da un insegnante significa cose molto diverse se detta al termine di una interrogazione in cui lo studente ha dato buona prova di sé, oppure appena dopo che l’insegnante ha scoperto lo stesso studente copiare durante un compito in classe. Quando inviamo messaggi come la frase “questo mi sembra ok”, è il contesto che permette di comprendere che la parola “questo” si riferisce a un determinato oggetto e non a un altro. In ogni situazione comunicativa reale sono coinvolti molti contesti contemporaneamente, che spesso si sovrappongono. Questo può creare imbarazzo: è ciò che accade se partecipate a una festa in cui sono presenti sia i vostri amici (che richiederebbero da voi un certo linguaggio, un certo tipo di contenuti e un certo comportamento) sia i vostri genitori (che ne richiedono ben altri).

venerdì 11 novembre 2011

giovedì 10 novembre 2011

sabato 5 novembre 2011

Fiori ed Emozioni

Questo mese ho lavorato con un gruppo aziendale sulla gestione dei conflitti attraverso l’Intelligenza Emotiva. Abbiamo utilizzato lo schema SPEC:

Cattura

In sostanza lo schema va così letto:

  1. Situazione: noi viviamo sempre delle Situazioni di vita. Queste Situazioni provocano in noi dei ….
  2. Pensieri, molto spesso inconsci, a volte consci. Questi pensieri che ci “frullano” in testa generano delle ….
  3. Emozioni, degli stati emotivi che dirigono e comandano il nostro …
  4. Comportamento, il modo in cui noi ci comportiamo.

Ecco un esempio molto banale e semplice:

  1. Situazione di Pericolo.
  2. Pensiero: “attenzione, qui si rischia ,,,,,!”
  3. Emozione: Paura
  4. Comportamento: Allontanarsi, fuggire, …

E’ stato molto interessante chiedere ai partecipanti di completare una tabella dove elencare le frequenti Situazioni di Conflitto aziendali (ma alla fine ne sono emerse molte anche familiari o di vita quotidiana).

Situazione

Pensiero

Emozione

Comportamento

       
       
       

La cosa forse più interessante è stato però accorgersi che la grande difficoltà nel compilare la tabella non era tanto identificare situazioni di Conflitto, quanto dare il giusto nome alle Emozioni. Sarà forse che non siamo così tanto abituati a prenderci del tempo per noi e ad ascoltarci ? Per aiutarci possiamo utilizzare un’interessante classificazione delle emozioni proposta da Robert Plutchik (1928-2006), secondo il quale le emozioni sono risposte evolutive per permettere alle specie animali di sopravvivere. Plutchik propone un’interessante rappresentazione grafica delle emozioni, che ci ricorda un fiore (chiamata poi non a caso “fiore di Plutchik”):

fiore

Esistono 8 emozioni primarie che generano dei comportamenti con alto valore di sopravvivenza (esempio della paura / fuga visto sopra): gioia, fiducia, paura, sorpresa, tristezza, disgusto, rabbia, aspettativa. Queste emozioni si trovano nel secondo cerchio del fiore ed è da notare si contrappongono a coppie in modo polare (gioia-tristezza, fiducia-disgusto, paura-rabbia, sorpresa-aspettativa).

Seguendo il petalo del fiore verso l’interno l’emozione primaria aumento di intensità (la tristezza diventa angoscia, la gioia diventa estasi …). Si forma così il cerchio centrale del fiore. Verso l’esterno invece l’emozione cala di intensità (la rabbia diventa irritazione, l’aspettativa interesse e così via).

Le emozioni poi si combinano tra di loro, per creare le emozioni secondarie o complesse; ad esempio gioia e fiducia generano amore, fiducia e paura generano sottomissione.

Riprendendo lo schema SPEC visto sopra e l’elenco delle emozioni di Plutchik ecco uno schema per conoscersi meglio e attuare uno sviluppo personale utilizzando una tabella come quella qui sotto:

Tabella

  1. identificare e descrivere delle Situazioni in cui vogliamo attuare un cambiamento (colonna Situazione);
  2. descrivere i Comportamenti Attuali da noi assunti (colonna Comportamento, riga Attuale)
  3. provare a ricordare i pensieri consci realizzati o a identificare quelli inconsci (colonna Pensiero, riga Attuale);
  4. con l’aiuto del fiore di Plutchik scrivere l’emozione primaria o secondaria provata;
  5. identificare poi l’emozione Target che si vuole provare nella stessa situazione in futuro (Colonna Emozione, Riga Target);
  6. chiedersi quale dovrà essere il Pensiero Conscio necessario per realizzare il Comportamento Target.
  7. Attuare il Comportamento Target dovrebbe portarci a provare l’Emozione desiderata.

Buon allenamento …..

mercoledì 2 novembre 2011

Incertezza

Non posso nascondere un certo stupore. E’ da due giorni che mi imbatto in persone che si sono fermate “in attesa di notizie” ….. dalla Grecia, dalle Borse, dal G20 …. Non sto parlando di politici o di persone che curano le strategie degli Stati, ma di liberi professionisti, dipendenti, dirigenti, manager. Persone che io definirei “comuni” che hanno bloccato il loro lavoro quotidiano (e-mail, acquisti, vendite, …) perché influenzati dalle notizie che arrivano dai mass media.

Il mio umile pensiero è che qui inizi la crisi … economica ma soprattutto umana.

A tutti loro consiglio di:

  1. riflettere su questa frase di John M. Capozzi: “Esistono 3 tipi di persone: coloro che si meravigliano di ciò che accade, coloro che guardano accadere le cose e coloro che le fanno accadere”.

sabato 8 ottobre 2011

Interviste esperienziali

Cattura

Cosa ne pensano le aziende ed i fruitori della formazione esperienziale ?

Una interessante intervista fatta ad un’azienda dopo un percorso Outdoor apparsa su Fòrema News (a pagina 2).

martedì 30 agosto 2011

L’ultima lezione di Time Management

Sto leggendo “L’ultima lezione, La vita spiegata da un uomo che muore” di Randy Pausch. Parla anche di Time Mangement dicendo che “per tutta la vita ho avuto coscienza che il tempo non è infinito”, e detto da una persona che sta per morire …….

Ecco, secondo Randy, i punti chiave della gestione del tempo:

  • il tempo deve essere amministrato come le finanze;
  • potete sempre cambiare le vostre priorità, a patto che le abbiate;
  • vi chiedete se state impiegando il vostro tempo per gli obiettivi giusti ?
  • sviluppare un buon sistema di archiviazione;
  • riconsiderare il telefono (ossia stare meno al telefono ed usare un auricolare in modo da poter fare altro);
  • delegare;
  • prendersi una pausa (ovvero quando stacchi, stacca davvero).

Il capitolo dedicato al tempo finisce con questa frase “Il tempo è tutto quello che avete. E potreste scoprire un giorno di averne meno di quanto pensavate”.

domenica 31 luglio 2011

Il Leader e le Fasi di Sviluppo di un Team

Durante i progetti formativi di Team Building svolti in modalità Esperienziale, capita spesso di osservare un Gruppo di persone ingaggiato nella risoluzione di problemi o nell’esecuzione di un esercizio strutturato. La situazione di partenza è destrutturata:

  • le persone non rivestono i loro Ruoli abituali aziendali, si riparte da zero;
  • l’esercizio è sconosciuto e nessuno sa come va affrontato;
  • le persone sono chiamate ad uscire dalla loro Zona Comfort.

Nella maggior parte dei casi il gruppo non riesce a coordinarsi, tutti parlano, nessuno ascolta veramente, Inizia una strana lotta per il potere: tutti vogliono “dire la propria opinione”, ma nessuno prende le redini del gruppo, se qualcuno ci prova, gli altri lo frenano.

Ho pensato che per ottenere una chiave di lettura potremmo “unire” due teorie legate alla “squadra”: le Fasi di Sviluppo del Gruppo di Bruce Tuckman e la Leaderhip Situazionale di di Kenneth Blanchard e Paul Hersey. Nella prima Tuckman ipotizza che nel percorso per diventare squadra, il gruppo debba passare 4 fasi successive (Forming, Storming, Norming, Performing); nella seconda teoria Blanchard e Hersey ipotizzano che un Leader debba assumere comportamenti diversi in funzione del contesto e della situazione. Lasciando le spiegazioni dettagliate delle due teorie alle esaurienti pagine di 12Manage, ecco la mia proposta riassunta nella seguente tabella:

 

Fasi del Gruppo

Stile del Leadership

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I membri si incontrano per la prima volta o avvengono cambiamenti significativi dei ruoli all’interno del team o nell’ambiente di lavoro. In questa fase le persone si comportano abbastanza indipendentemente. Possono essere motivate ma di solito non sono informate sulle questioni e sugli obiettivi del team. Alcuni membri del team possono mostrare segni di incertezza, ansia, e competizione.

I leader devono controllare molto attentamente i membri della squadra, che hanno bisogno di direzione e controllo. Il Leader. deve riunire il team instaurando un ambiente di fiducia reciproca, e proporre un BrainStorming per l’analisi di Obiettivi, Ruoli (Chi fa Cosa) e Metodo di Lavoro (Come, Quando, Dove e Perché).

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I membri del team si rendono conto delle difficoltà dell’azione in team. Le persone cominciano a confrontarsi, ad esprimere i diversi punti di vista e le preferenze, mostrando le loro personalità. In questa fase, la mancanza di un Leader determina confusione, frustrazione e tensione. Il gruppo rischia di bloccarsi e di non evolvere verso la fase successiva.

In questa fase di transizione turbolenta il Leader modera il BrainStorming usando uno stile di Coaching. La tolleranza di ogni membro del team e delle loro differenze devono essere enfatizzate. Forte uso delle domande aperte per condurre il Gruppo alla definizione degli Obiettivi, Ruoli e Metodo di Lavoro.

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Questa fase comincia quando il team supera i contrasti ed inizia ad operare congiuntamente. Le persone adattano i loro comportamenti e sviluppano accordi per rendere il lavoro di squadra più naturale e più fluido. Sforzo cosciente per risolvere i problemi e raggiungere l'armonia nel gruppo. I livelli di motivazione aumentano. I membri del team condividono il senso di appartenenza al gruppo. In questa fase le persone vogliono condividere le idee, ricevere e fornire feedback.

Il leader facilita e partecipa alle decisioni, ma inizia a lasciare il controllo ai collaboratori. Il supporto rimane necessario per sostenere la sicurezza e la motivazione della squadra. Il Leader inizia ad orientarsi meno sui compiti, e più alle Relazioni ed alle dinamiche Comportamentali in generale.

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I membri del Team sono competenti, autonomi e in grado di gestire il processo decisionale senza controllo. Il gruppo collabora e raggiunge gli Obiettivi. I membri si prestano ad aiutarsi reciprocamente. In questa fase le persone vogliono avere successo con il team.

I leader sono coinvolti nelle decisioni e nella risoluzione dei problemi, ma il controllo è nelle mani dei collaboratori.Una volta dato l’Obiettivo i membri sono in grado di operare da soli con poco controllo e poco supporto dimostrando maturità ed impegno. Il Leader supervisiona, gestisce le dinamiche comportamentali ed è pronto ad entrare in gioco se la squadra si bloccasse o avesse problemi inaspettati.

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lunedì 13 giugno 2011

IALT 4

Lo IALT colpisce ancora …..

domenica 5 giugno 2011

Deming vs. Kolb

Chi vive nel mondo della qualità e del miglioramento continuo conosce sicuramente il Ciclo di Deming , mentre chi lavora nel mondo della formazione esperienziale e dell’apprendimento conosce molto bene il Ciclo di Kolb.

Sinceramente non ho idea se il signor David Kolb (1939) ed il signor Edwards Deming (1900 – 1993) si siano mai incontrati confrontando le loro idee. Fatto sta che i due modelli da loro proposti offrono, secondo il mio punto di vista, punti molto simili.

Prima ripassiamo velocemente i due cicli, partiamo dal ciclo di Deming:

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PLAN è la fase del pensiero: Pensa, Prevedi, Pianifica.

DO fase dedicata all’azione: agisci mettendo in pratica ciò che hai Pensato, Previsto e Pianificato.

CHECK fase del controllo: analizza come si è svolta l’azione suddividendo gli Errori e le azioni corrette.

ACT fase del miglioramento: inserisci delle azioni di correzione affincè gli errori non avvengano più e standardizza tutte le azioni corrette.

Il ciclo di Kolb:

ESPERIENZA: le persone vivono delle esperienze e le percepiscono attraverso i 5 sensi e lo stato imageEmozionale;

RIFLESSIONE: perchè nasca l’apprendimento l’individuo deve dedicare del tempo alla riflessione, ponendosi domande su come si sono svolte le cose, come le ha percepite, ….

CONCETTUALIZZAZIONE: dalla riflessione, attraverso un’azione di astrazione e di sintesi, l’individuo può estrarre dei Concetti che possano essere applicati alla prossima esperienza similare.

SPERIMENTAZIONE: l’individuo progetta e testa i Concetti sintetizzati in una nuova Esperienza, ed il ciclo riparte …

Sicuramente la differenza fondamentale tra i due cicli sono il punto di partenza: Deming parte dalla progettazione (PLAN), mentre Kolb mette in prima posizione l’Esperienza (quella che Deming chiama DO).

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La differenza di approccio è sostanziale: per Deming l’azione è pensata e progettata, mentre per Kolb sembra che l’esperienza arrivi senza grandi pianificazioni.

Entrambi però sottolineano l’importanza del Pensiero dopo l’Azione: il Check di Deming corrisponde alla Riflessione di Kolb. Quali sono le cose andate bene ? Che emozioni ho provato ? Quali errori e quali imprevisti ?

L’output della fase riflessiva porta, secondo Kolb, alla creazione di Concetti, che non sono poi lontani dalle azioni correttive e di standardizzazione di Deming.

Infine la progettazione della prossima esperienza, il Plan per Deming e la Sperimentazione per Kolb, dove l’individuo progetta come applicare i Concetti o le azioni correttive.

A questo punto la domanda a cui rispondere diventa: che differenza c’è tra il miglioramento continuo (Deming) e l’apprendimento (Kolb) ? Forse nessuna, visto che apprendere cose nuove significa sicuramente migliorare ….

domenica 29 maggio 2011

venerdì 15 aprile 2011

Deming Docet

“Ciò che è più economico non è sempre il meglio,

ma il meglio è sempre più economico.”

William Edwards Deming

domenica 27 febbraio 2011

Il Leader efficace

Leggendo l’introduzione al testo “Getting the Right Things Done” di Pascal Dennis, trovo un interessantissimo sunto di un articolo di Peter Drucker apparso sulla Harvard Business Review (Giugno 2004 What makes an effective executive).

Dall’articolo si desume che Peter Drucker, durante i suoi 65 anni di ricerca e consulenza, aveva incontrato molti CEOs diversi per personalità, comportamenti, capacità. Tutti però condividevano alcune competenze ricorrenti:

  1. di fronte a problemi ricorrenti si creano uno schema mentale standard di approccio, piuttosto che prendere e riprendere decisioni ogni volta;
  2. non si limitano a risolvere i problemi, ma cercano le cause e le eliminano una volta per tutte;
  3. organizzano il proprio tempo partendo dal tempo che hanno a disposizione, non da un elenco di impegni;
  4. definiscono le attività prioritarie e decidono quanto tempo dedicarci;
  5. gestiscono i collaboratori valorizzando i punti di forza (e non si impuntano a voler migliorare sui punti di debolezza);
  6. davanti ai problemi ristabiliscono lo standard analizzando con metodo nuove opportunità.

Leggendo l’elenco ho pensato alle conoscenze ed alle culture necessarie per studiare e sviluppare le competenze necessarie. Ecco le mie riflessioni:

 

Competenza

Cultura / Argomento

1

di fronte a problemi ricorrenti si creano uno schema mentale standard di approccio, piuttosto che prendere e riprendere decisioni ogni volta;

Overview

2

non si limitano a risolvere i problemi, ma cercano le cause e le eliminano una volta per tutte;

Ciclo di Deming

3

organizzano il proprio tempo partendo dal tempo che hanno a disposizione, non da un elenco di impegni;

Gestione del Tempo (Legge di Parkinson)

4

definiscono le attività prioritarie e decidono quanto tempo dedicarci;

Gestione del Tempo (Diagramma di Covey … o di Eisenhower)

5

gestiscono i collaboratori valorizzando i punti di forza (e non si impuntano a voler migliorare sui punti di debolezza);

Gestione Collaboratori

6

davanti ai problemi ristabiliscono lo standard analizzando con metodo nuove opportunità;

Ciclo di Deming

mercoledì 2 febbraio 2011

Mappe Mentali & CPV

Il CPV di Vicenza si dimostra sempre attento alla tematica delle Mappe Mentali. Ricordo con loro i corsi di Thiene, Portogruaro, Treviso e Belluno.

Lunedì sera, all’NH Hotel di Vicenza eravamo in 163 … (164 con me).

Ecco le slide viste assieme: