giovedì 30 agosto 2012

Insegnante o facilitatore ?

Riparto da qui …..

“Quando analizzai ciò che mi era successo, identificai alcuni cambiamenti fondamentali. Il mio concetto di me stesso era cambiato da insegnante a facilitatore di apprendimento. Il mio ruolo era passato da quello di trasmettitore di contenuti a quello di gestore di un processo e solo secondariamente di risorsa per i contenuti.

In secondo luogo, sentivo che avevo adottato un diverso sistema di ricompensa psicologica. Invece di ottenere le mie gratificazioni controllando gli studenti, le ottenevo lasciandoli liberi. E trovavo che questo fosse molto più soddisfacente.

infine, mi trovai ad assolvere una diversa serie di funzioni, che richiedevano una diversa serie di abilità. invece di svolgere la funzione di pianificatore e trasmettitore di contenuti, cosa che richiedeva principalmente abilità per la loro presentazione, assumevo la funzione di progettista e gestore di processi, cosa che implicava stabilire rapporti, valutare bisogni, coinvolgere gli studenti nella programmazione, mettere in contatto gli studenti con le risorse per l’apprendimento e incoraggiare le loro iniziative.

Da allora, non sono più stato tentato di ritornare al ruolo di insegnante.”

Malcolm Shepherd Knowles., Educational materials Catalog, follet Publishing co., 1981.

lunedì 27 agosto 2012

Riflessioni sulla Riflessione (in Silenzio)

Sono rientrato da circa una settimana dal Workshop “Silence” organizzato da Via Experientia in Islanda. Nessun noioso riassunto, se siete curiosi ecco una selezione delle 576 foto pubblicate su Flickr:

Durante il Workshop abbiamo passato due giornate in completo silenzio, ed ognuno di noi era libero di impiegare il tempo nella libertà più totale. Personalmente mi sono dedicato a degli Hiking non lunghi ed estremamente lenti. Oggi, a distanza di più di una settimana, mi sto lentamente rendendo conto di cosa sia successo. Una delle cose più affascinanti è stata la “dilatazione” del tempo: non avevo orari, non c’erano scadenze o appuntamenti che scandissero il tempo. Complice la presenza di luce solare fino a tardi (c’era luce quasi fino a mezzanotte), avevo perso la sensazione del tempo e questo mi ha permesso di “riflettere”, in un senso del termine che non avevo mai sperimentato.
“Riflessione”, parola semplice e decisamente (da me) abusata. E’ normale, durante i corsi esperienziali, passare dall’Esperienza alla Riflessione (come il ciclo di Kolb ci insegna). Non avevo mai avuto l’occasione di Riflettere per due giornate intere in modo continuo, e non mi ero reso conto di quanto in profondità si possa andare.
L’etimologia di riflettere è interessante: dal latino reflectĕre, ossia ripiegare, volgere indietro. Il suo primo significato deriva dalla fisica, intendendo la capacità della superficie di un corpo di rinviare, sotto forma di onde riflesse, una parte dell’energia delle onde incidenti. Di conseguenza il significato riferito all’atto mentale della riflessione indica “riverberare” il pensiero. La filosofia si è sicuramente interessata alla capacità di riflettere, la pagina di Wikipedia merita sicuramente un’attenta lettura.
Ma a me interessa la “riflessione” da un punto di vista formativo, riferendomi ai momenti di riflessione che proponiamo durante i corsi formativi esperienziali. Quali sono gli obiettivi della riflessione ? Direi:
  • ripensare all’esperienza da altri punti di vista;
  • ascoltare altri punti di vista e riformulare i propri;
  • “scavare”, “rivedere”;
  • far emergere connessioni, spunti, collegamenti, …
  • elaborare;
  • acquisire consapevolezza;
  • usando un termine poco elegante e preso dall’agricoltura “vangare” ….
…. e da quest’ultimo termine nasce una scoperta interessante. Vangare significa rivoltare le zolle di un terreno con la vanga, un’attività che serve all’uomo per coltivare la terra. In latino coltivare si dice còlere da un’antica radice, kwel, che vuole dire “ruotare”, “girare”, “camminare in cerchio”. Dal participio futuro di còlere, nasce la parola cultura. L’analogia è chiara: come l’uomo girando la terra coltiva le piante, noi girando i nostri pensieri (riflettendo) facciamo nascere la nostra cultura ….
Ma di cosa c’è bisogno per riflettere ? Ecco che l’esperienza in Islanda mi ha fatto notare che una delle necessità fondamentali è il tempo; e il tempo deve essere di qualità e di quantità.
Per tempo di qualità intendo:
  • un periodo di tempo in assenza di “noise” (suoni, rumori, squilli, urla, motori, …);
  • un periodo di tempo in assenza di distrazioni (persone esterne, telefoni, eventi che attirino la nostra attenzione, …);
  • un periodo di tempo in un luogo fisico “adatto” (senza “noise”, povero di distrazioni, luminoso, con una temperatura piacevole. Può essere molto soggettivo, ma direi che la natura aiuta molto …);
Per tempo di quantità intendo invece ….. tempo. Tanto tempo. Una domanda mi è sorta spontanea: “nei progetti formativi esperienziali qual è il giusto rapporto tra il tempo dedicato all’esperienza e quello dedicato alla riflessione ?”.
Oltre al tempo, di cosa c’è bisogno per una buona riflessione ? Probabilmente delle buone domande. Le domande sono degli strumenti fondamentali per stimolare la riflessione, in noi stessi e negli altri. Penso che innanzi tutto debbano essere prevalentemente domande aperte (quelle che non prevedono anticipatamente risposte preconfezionate da chi pone le domande e che lasciano maggiore libertà a chi risponde di scegliere forma, contenuto e lunghezza della risposta). Possiamo usare anche le domande chiuse (quelle i cui tipi di risposta sono fissati da chi pone le domande, un classico sono le domande a cui si risponde con un si o con un no), ma con moderazione: la riflessione deve rimanere un momento di esplorazione, di dubbio …. per definire certezze e regole c’è un altro momento (= la Concettualizzazione del ciclo di Kolb).
Infine mi sono chiesto: su cosa fare le domande ? Focalizzando la nostra attenzione sulla formazione “comportamentale” mi viene spontaneo pensare ai comportamenti. Abbiamo vissuto un’esperienza, una situazione dalla quale noi riceviamo degli stimoli ….
SPEC
Step 1. Le “porte” degli stimoli sono i 5 sensi, e quindi possiamo sicuramente porre/porci domande su cosa abbiamo visto, cosa abbiamo sentito (sia audio, sia tattile), sugli odori/profumi, caldo/freddo, gusto ….. L’obiettivo delle domande sui sensi ci permetterà di esplorare ed inquadrare bene la “situazione” o meglio come l’abbiamo percepita.
Step 2: cosa è successo dentro di noi ? Quali Pensieri Consci (Pc) sono scaturiti a seguito delle percezioni ? Probabilmente il nostro cervello ha ripescato vecchie esperienze, altre situazioni, Pregiudizi ed Aspettative navigando nei Pensieri Inconsci (Pi) che sono sfuggiti ad un nostro controllo razionale immediato. Su questi Pi c’è molto da “vangare” …. E poi si apre il mondo delle Emozioni …. Che emozioni abbiamo provato ? Di che intensità ?
Step 3. Quali sono stati i Comportamenti generati dal “mix” di Pc+Pi+E ? Come hanno “risposto” alla situazione questi Comportamenti ? Che conseguenze/Effetti hanno generato ? Quali comportamenti sarebbero stati più efficienti ed efficaci ? ……..
Riflettiamoci.

domenica 5 agosto 2012

Apprendimento formale, non formale e informale

Interessante la visione dell'apprendimento attraverso 3 categorie:
- apprendimento formale: avviene in situazioni strutturate, luoghi e momenti definiti per la formazione (scuole, aule, ....). I docenti sono definiti, così come i programmi didattici. Solitamente prevedono riconoscimenti come diplomi o qualifiche.Solitamente rientrano in piani di crescita intenzionali da parte della persona.
- apprendimento non formale: avviene fuori da luoghi deputati alla formazione formale, ma sono programmati a completamento di questi ultimi.sono intenzionali ma solitamente non portano a certificati riconosciuti.
- apprendimento informale: dato dall'insieme di tutte le esperienze quotidiane. Generano apprendimento se il soggetto procede nella riflessione e nella concettualizzazione (vedi ciclo di Kolb) ma solitamente non sono intenzionali. In questa categoria rientrano le comunità di pratica, i gruppi tra pari, le community web 2.0. Non prevedono certificazioni o diplomi. 

C'è chi come Cross, sostiene che l'80% dei nostri apprendimenti derivi da situazioni informali, e solo il 20% da situazioni formali.

Ho provato a darne una rappresentazione visuale:

sabato 4 agosto 2012

Andragogia e facilitazione

Nel 1968 Malcom Knowles fonda l’Andragogia, la teoria forse più seguita per l’apprendimento degli adulti. Come si può leggere nella pagina di Wikipedia ci sono 6 principi base del modello Andragogico. Ma cosa fa il facilitatore in aula per applicare i 6 principi ? Quali azioni concrete e pragmatiche può attuare per perseguire i 6 principi ?

Provo ad elencare un po’ di idee nella tabella sottostante:

Principio: Azioni del Facilitatore:
1. Concetto di sè

. dare responsabilità al discente (ad esempio far decidere loro la scaletta degli argomenti, gli orari, le regole dell’aula, …..)
. fare in modo che i discenti si gestiscano da soli (lasciarli liberi nei momenti di riflessione, dare loro dei momenti di solitudine per la riflessione, ….. )
. evitare in tutti i modi la dipendenza dal formatore

2. Bisogno di conoscere

. chiedere ai discenti a cosa servirà loro l’argomento oggetto del corso
.chiedere ai discenti in quali situazioni potranno usare l’argomento del corso
.'esaminare assieme ai discenti, i vantaggi che trarranno dall'apprendimento

3. Ruolo dell’esperienza del discente

. garantire e favorire la fase riflessiva dopo l’esperienza
.supportare i discenti nell’apprendimento in collaborazione con altri adulti (esperienze condivise)
. aiutare i discenti a mettere in dubbio esperienze precedenti, pregiudizi, aprire a nuove visioni (uscire dalla Zona di Comfort)

4. disponibilità ad apprendere

. definire assieme ai discenti l’obiettivo del corso
. limitare l’obiettivo a ciò che si può veramente ottenere con il tempo a disposizione per il corso
. al termine del corso chiedere ai discenti se gli obiettivi sono stati raggiunti
. limitare gli argomenti del corso solo a ciò di cui l’adulto ha bisogno

5. orientamento verso l’apprendimento

. definire assieme ai discenti quanto tempo sarà corretto investire nell’apprendimento della nuova competenza, ponderandolo con i vantaggi apportati
. inserire in agenda dei momenti dedicati al ponte logico tra aula e realtà: chiedere ai discenti come applicheranno nella realtà i concetti appresi durante il corso.

6. motivazione

. dedicare del tempo in apertura del corso all’analisi delle pressioni interne (soddisfazione, qualità di vita, …) che i discenti possono avere per intraprendere il percorso di apprendimento
. analizzare con i discenti eventuali motivazioni contrarie all’apprendimento (scarsa considerazione di sè, mancanza di tempo, avversità al cambiamento, ….).

venerdì 3 agosto 2012

IALT Study Tour Belgio

Maggio, giugno e luglio sono stati veramente mesi intensi. A parte il lavoro quotidiano, vi sono state esperienze uniche e particolari. Oltre allo IALT6 già citato come non onorare con uno slideshow il viaggio studio in Belgio ?

Sarebbe difficile raccontare tutto quello su cui abbiamo lavorato in Belgio. Direi però che una delle cose più chiari ed illuminanti che mi sono “portato a casa” è stato uno schema di evoluzione dei gruppi da utilizzare durante i Team Building. Fornisce chiaramente al facilitatore una traccia di come gestire le attività e i debriefing durante un’attività formativa:

Evoluzione Gruppi

Se vi interessa potete scaricare il PDF al seguente link.

Insegnare

Se diventi insegnante, sarai istruito dai tuoi studenti.

Oscar Hammerstein II e Richard Rodgers, il re ed io, 1956.