Tratto da: http://www.dromemagazine.com/elements/inuovinomadi.pdf
L'uomo occidentale di fine secolo, roso da nuove ansie e inquietudini, inizia a mettere in discussione gli attuali schemi socio-economici e a ricercare in modo sempre più tangibile una qualità di vita.
Emerge l'esigenza di ri-centrare le proprie aspirazioni, di vivere l'impegno professionale come mezzo per una più intensa realizzazione sul piano personale. Cresce il desiderio di esprimere la propria creatività, e in più campi. In poche parole, viene rigettata l'alienante divisione tempo di vita/tempo di lavoro, che assimila il lavoro a "non vita". Il problema, semmai, è dare un "senso" al lavoro, un valore che va oltre la misura del denaro e del tempo. E questo è tanto più possibile in un momento in cui il tramonto della manifattura tradizionale, imperniata sullo sforzo fisico, favorisce lo sviluppo delle intelligenze, delle competenze, delle comunicazioni allargate.
E' da questo contesto che, lentamente, affiora in superficie la consapevolezza del nomade globale. Colui che ricerca lo sradicamento fisico-mentale diventa inevitabilmente un elemento di rottura dello status quo. Lo "spaesamento" psicoemotivo all'inizio genera smarrimento, ben presto però contribuisce ad affinare le percezioni sensoriali, aiuta a recuperare l'atteggiamento critico, consente un ascolto più partecipe e profondo della realtà. Questo ri-conquistato potere nei confronti dell'esistente induce a sconvolgere la trama dei percorsi abituali. Da qui il rifiuto delle strategie di omologazione sociale: modello consumista in primis. Le aspirazioni a una felicità-possibile, a una vita-avventura, si insinuano così nelle maglie asfittiche delle civiltà metropolitane di fine millennio.
Ciò comporta, come prima istanza, una rivalutazione/riappropriazione dei tempi di vita. Non è un caso che, con un tocco di cinico sadismo, Peter Sloterdijk abbia definito i nevrotici cittadini del tardo XX secolo "gli uomini del fine-settimana, ovverossia gli individui del tempo libero, che hanno scoperto la comodità dell'alienazione, il comfort della doppia vita". Nel progetto nomade rientra anche questo: la volontà di affrancarsi dal controllo cronologico sulla persona. Il che presuppone, dal punto di vista lavorativo-professionale, un enorme cambiamento di mentalità, soprattutto da parte del management, per il quale i parametri di riferimento e di valutazione dovranno essere i risultati e la produttività, piuttosto che la presenza. Un atteggiamento che sta alla base del telelavoro mobile e autonomo. Per quanto concerne la sfera privata, ciò comporta una gestione innovativa dei ritmi quotidiani. Scompaiono i tempi predefiniti (da altri) a favore dell'autorganizzazione dei tempi ludici e lavorativi, degli spazi e delle priorità (la famiglia, l'apprendimento permanente, l'impegno nel sociale). E' quello che un Michel Foucault ultima versione definì il "prendersi cura"; un'attenzione al sé intesa come pienezza di essere al mondo nel continuo divenire del tutto.
A questo si aggiunga una forte presa di coscienza ecologica, la riconquista di una sacra intimità con l'ambiente naturale, la ricerca di formule di sviluppo alternative. Il rispetto/richiamo verso la natura spinge a scegliere habitat umani in simbiosi con il paesaggio, a inventare nuovi modi di costruire e di muoversi. E' il momento di sfruttare la propria professionalità in modo creativo e intelligente: ognuno ha, nelle sue mani, un pezzetto di responsabilità nei confronti del pianeta.