venerdì 31 dicembre 2010

Metodologie Formative

In questi giorni il confronto con Luca Baiguini sulla formazione esperienziale, mi ha fatto tornare in mente uno schema sulle metodologie formative che Leonardo Frontani ci ha illustrato allo IALT1:

Cattura

Sull’asse delle Y la quantità di informazioni che è necessario trasferire attraverso il percorso formativo, nell’asse delle X il tipo di Intelligenza coinvolta nel processo (dall’Intelligenza Cognitiva all’Intelligenza Emotiva/Comportamentale). Lungo la retta rossa varie metodologie formative presenti sul mercato. Infine la curva verde indica il tempo necessario (o forse è meglio dire “auspicabile”) per svolgere il percorso formativo.

Se il percorso prevede il trasferimento di un alto numero di informazioni la metodologia migliore è sicuramente l’Aula frontale: in poco tempo il docente può trasmettere molto contenuto ai discenti, che devono mettere in campo capacità prettamente Cognitive.

All’opposto se il percorso non prevede la trasmissione di molto contenuto, ma si concentra sull’aspetto Comportamentale dei discenti, la metodologia adatta è sicuramente l’Esperienziale. In questo caso però il tempo necessario per svolgere un buon percorso formativo è maggiore rispetto all’aula, perché per studiare gli aspetti dell’Intelligenza Emotiva (vedi Goleman) il tempo gioca un ruolo importante e fondamentale.

Tra questi due estremi, si possono utilizzare altre metodologie formative, come l’Aula informale e l’On The Job (ancora molto rivolte alla trasmissione di contenuti), il Mentoring e il Coaching (a metà strada) e la facilitazione che si avvicina all’Esperienziale.

Leonardo conclude con un’osservazione che mi trova completamente d’accordo: non esiste una metodologia migliore di un’altra, ma esistono degli Obiettivi Formativi per i quali si dovrà utilizzare la metodologia più adatta, o meglio ancora un mix di metodologie per creare quello che viene chiamato un percorso Blended.

sabato 25 dicembre 2010

La formula del Team

L’anno volge al termine, riguardo indietro e i ricordi migliori sono per i progetti formativi Outdoor di TeamWork (mi basta pensare a IALT1, 2 e 3 …). Da un punto di vista di contenuto sono molto soddisfatto di aver analizzato, ma soprattutto sintetizzato i contenuti sul Team Building e sul TeamWork nella “Formula del Team” (Licenza Creative Commons).

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Formula del Team by Luigi Mengato is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 3.0 Unported License.

Perché un gruppo di persone evolva in un Team è necessario che condivida / decida / possegga le seguenti “variabili”:

  • O = Obiettivi che devono essere necessariamente S.M.A.R.T. Anche se oramai ultra-conosciuti, ricordo che S=Specifici, M=Misurabili, A=ambiziosi, R=Raggiungibili, T=Tempificati;
  • R = Ruoli: l’insieme di aspettative condivise sul modo e sulle azioni che una persona del Team deve svolgere per il raggiungimento degli Obiettivi;
  • M = Metodo di lavoro: detta semplicemente “chi fa che cosa, quando, come e perchè”;
  • L = Leadership;
  • C = Clima:l’insieme delle variabili relazionali quali conoscenza, fiducia, feedback, ….

L’efficacia della formula sta nell’estrema sintesi ed analisi e nel fatto di diventare quindi un “modello” (la cui efficacia è già stata discussa) da poter presentare ai corsi. Ognuna delle variabili permette poi un approfondimento tematico.

Qualche osservazione interessante nata durante i debriefing dei corsi:

  1. se manca anche una sola delle variabili il Gruppo non riesce a lavorare come un Team;
  2. la Leadership è sempre necessaria: definita in fase di progettazione o emersa durante l’azione se viene a mancare il Team non ha buone performance;
  3. il Clima è all’esponenziale per due motivi: se è positivo e incrementa il Team lavora sempre meglio; se è negativo le Performance sono < 1;
  4. perché un Obiettivo possa definirsi tale, deve possedere tutte le caratteristiche S.M.A.R.T., altrimenti non è un obiettivo ….

domenica 12 dicembre 2010

Resilienza

Siamo in chiusura d’anno, e viene abbastanza facile ripensare ai progetti svolti che per qualche ragione mi hanno lasciato spunti di riflessione importanti.

Uno dei momenti più significativi è stato sicuramente durante un corso di Leadership presso un’azienda di Padova; si parlava di una delle caratteristiche del Leader: la resilienza.

Il termine “resilienza” possiede vari significati a seconda del contesto, quello che più ci interessa è il valore psicologico: wikipedia descrive la resilienza come “la capacità dell'uomo di affrontare e superare le avversità della vita”. Sembra che il significato originario derivi dal latino “resalio", che indicava il gesto di risalire sull’imbarcazione capovolta dalla forza del mare. La resilienza indica quindi alcune caratteristiche fondamentali della Leadership:

  • capacità di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti;
  • affrontare in modo efficace ed efficiente le difficoltà;
  • capacità di "leggere" gli eventi negativi come momentanei e circoscritti (ottimismo);
  • Locus of Control elevato (io sono padrone del mio destino);
  • forte motivazione a raggiungere gli Obiettivi;
  • il cambiamento è una sfida e un’opportunità;

Ma torniamo al corso sulla Leadership: scopro che all’interno dell’azienda lavora Alessio Borgato, atleta paralimpico della Endurancenter ParaCycling Team. Parlando con lui capisco meglio cosa vuol dire “resilienza” e lo invito in aula per una sua testimonianza. Alessio mi chiede di invitare anche il suo compagno di squadra Andrea Devicenzi ed il loro allenatore, Daniele Zammicheli.

Andrea è da poco tornato dall’India, dove ha percorso 700 km in 8 giorni, lungo la strada carreggiabile più alta al mondo, la Manali-Leh.

Alessio in questi giorni ha partecipato alla Vuelta Chiapas in Messico ….

E’ un po’ difficile trasmettere in un Post cosa è emerso durante il colloquio in aula con Alessio, Andrea e Daniele … La cosa certa è che, uscendo, pensavo a quanto siamo ridicoli a volte a parlare di Leadership nel contesto aziendale, quando un vero Leader lo si riconosce veramente nella vita.

giovedì 9 dicembre 2010

Slide Vs. Flip Chart

La lettura del Post di Luca Baiguini sul “visual thinking” mi ha fatto venire in mente un’attività Outdoor svolta in settembre di quest’anno. Tra i partecipanti al progetto ho avuto la fortuna di avere Carlo Manara disegnatore tecnico per la sua azienda ma fumettista per il mondo dei blog. Ho subito pensato di “sfruttare” la sua bravura nel disegno e di sostituirlo alle slide di PowerPoint. Gli ho affidato così il ruolo di “proiettore virtuale”, l’ho “piazzato” alla lavagna a fogli mobili armandolo di pennarelli e gli ho chiesto di scrivere le parole chiave del mio briefing e di associare a tali parole le immagini che gli venivano in mente.

L’effetto è stato stupefacente, tutte le persone in aula (io compreso) eravamo “catturati” dalle sue interpretazioni: Carlo creava delle associazioni “paradossali” tra le parole e le immagini e più “paradossali” erano e più sono ancora presenti nella mia memoria.

L’unico rammarico in tutto questo, è di non possedere la “mano” di disegnatore come quella di Carlo, e di non poter quindi gestire la maggior parte delle attività in aula con questo supporto visivo.

Qualcosa però penso si possa fare, e proprio su consiglio di Carlo, ho acquistato “Disegnare con la parte destra del cervello”, libro a cui dedicherò tutta la mia attenzione (ed esercizio) durante le prossime festività Natalizie.

Quindi, obiettivo per il 2011, potrebbe essere “Back to the Flip chart”, come dice Luca.

venerdì 3 dicembre 2010

Locus Of Control

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Chi vuol muovere il mondo prima muova se stesso.

Socrate.