sabato 8 dicembre 2012

Riflessioni sulla Riflessione

Il cuore della formazione esperienziale è sicuramente il momento della riflessione, del debriefing. Troppo spesso l’attenzione è rivolta al momento dell’esperienza, soprattutto se si tratta di qualche attività fortemente “emozionale” (rafting, soft air, barca a vela, ….); ed il momento della riflessione passa in secondo piano. L’esperienza di per sé dovrebbe essere vista solo come lo strumento che permetterà alle persone di riflettere, maturare, apprendere.

Meglio quindi dedicare maggiore attenzione alla fase della riflessione e, possibilmente, strutturarla secondo modelli progettati. In questi giorni ne sto progettando uno …..

schema0001

FASE 1:

  1. consegnare ai partecipanti 1 o 2 post-it (a seconda del numero dei partecipanti stessi) ed un pennarello a punta grossa;
  2. porre una domanda aperta ai partecipanti (riguardante l’argomento formativo) e chiedere loro di scrivere una sintesi delle loro riflessioni sul post-it. La dimensione del post-it ed il pennarello li costringerà a scrivere poco, sarebbe meglio se scrivessero una parola chiave. In questo modo favoriremo la sintesi;
  3. dare il tempo necessario per una buona riflessione (tempo che dipenderà dal grado di maturità del gruppo, dall’argomento, …… etc etc);
  4. appendere al muro un foglio (A3 o di lavagna a fogli mobili) e scriverci sopra “Riflessioni”;
  5. al termine del tempo assegnato chiedere ad ogni partecipante di uscire ed appendere il post-it sul foglio e di dare una veloce spiegazione della riflessione fatta;
  6. chiedere ai partecipanti successivi di aggregare i loro post-it con quelli già presenti nel foglio nel caso le riflessioni coincidano con altre già proposte. In questo modo le riflessioni saranno aggregate a “isole”;

Questa modo di agire ci porta due vantaggi:

  • tutti i partecipanti sono chiamati ad impegnarsi nella riflessione e ad esporla (spesso nelle riflessioni in plenaria non tutti si impegnano o si esprimono);
  • favoriamo la sintesi delle idee (otteniamo un foglio con poche parole chiave, al posto di fogli di frasi scritte che mal si prestano ad analisi successive).

FASE 2:

  1. attacchiamo a destra del primo altri due fogli sul muro. Il primo sarà dedicato ai Concetti, il secondo alla Sperimentazione (chiaramente mi rifaccio al ciclo di Kolb);
  2. chiediamo ai partecipanti di:
    • elaborare le riflessioni emerse e di “astrarre” i Concetti che emergono da ogni Riflessione (sarebbe bene che per ogni Riflessione, o gruppo di Riflessione, emergesse solo un Concetto, questo per favorire sempre la sintesi); questo va scritto nel foglio “Concetti”;
    • immaginare due o tre esempi di applicazione del Concetto alla Realtà lavorativa quotidiana (oppure nella prossima attività esperienziale, se dovesse esserci); questo va scritto nel foglio “Sperimentazione;
  3. i partecipanti dovranno uscire a scrivere sui fogli i Concetti e le idee di Sperimentazione.
  4. far unire con delle frecce le Riflessioni ai Concetti ed alle idee di Sperimentazione;

In questa fase si può dare la libertà ad ogni partecipante di uscire su base volontaria oppure si può suddividere il gruppo in numero pari alle riflessioni emerse: ogni gruppo svilupperà il relativo Concetto e gli esempi di Sperimentazione.

Martedì ci provo ……

Group

Sono da poco rientrato dal workshop Group. Non si finisce mai di imparare ….

giovedì 22 novembre 2012

Confucio Upgrade

Oggi pensavo, con scarsa umiltà, che la famosa frase di Confucio spesso citata per spiegare la formazione esperienziale andrebbe aggiornata ….

Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco … se rifletto apprendo.

domenica 4 novembre 2012

Formatore situazionale …

… ovvero come decidere se essere Insegnante, Formatore, Facilitatore.

Alcune riflessioni partendo da un modello proposto da Daniel Pratt* (1988) sulla predisposizione degli adulti ad apprendere. Più che concentrarmi sulla disposizione dei discenti il modello mi ha fatto pensare a come lo stile di insegnamento possa essere situazionale, a seconda appunto ai discenti. Partiamo dal seguente modello:

Cattura

  • sull’asse delle x mettiamo le Competenze e l’autonomia (di apprendimento) del discente;
  • sull’asse delle y mettiamo la fiducia in sé stesso ed il livello di motivazione (sempre del discente).

Pratt propone che il “professionista dell’apprendimento” (come li definisce) sappia identificare dove si colloca il discente e che adotti uno stile appropriato in termini di sostegno e di direzione, dove i due termini indicano:

  • sostegno: incoraggiamento che il discente ha bisogno di ricevere su un piano emotivo;
  • direzione: bisogno del discente di ricevere assistenza per il processo di apprendimento.

Ecco quindi che possiamo trovare 4 tipi di discenti nei 4 quadranti:

  • Quadrante 1: poco motivati, scarsa fiducia in sé, poco competenti e poco autonomi. La prima situazione che mi viene in mente sono bambini o ragazzini …. In questo caso il “professionista dell’apprendimento” deve diventare un insegnante: dirigere molto e sostenere molto;
  • Quadrante 2: motivati e con fiducia in sé stessi. I discenti avranno bisogno di essere diretti ma non sostenuti. Il “professionista” diventa un formatore.
  • Quadrante 3: competenti ed autonomi, ma sfiduciati e demotivati. Il professionista rimane un formatore, ma questa volta sostiene molto e dirige poco;
  • Quadrante 4: il quadrante “obiettivo” (quello a cui tendere …). I discenti sono motivati, hanno fiducia in sé stessi, competenti ed autonomi. Il professionista diventa un facilitatore: sostiene poco, dirige poco, diciamo che “mette i discenti nelle condizioni di apprendere”, creando situazioni e garantendo il processo.

Le capacità che il professionista dovrà sviluppare sono:

  • riconoscere dove si collocano i discenti all’inizio dell’apprendimento;
  • scegliere un “percorso” di crescita dei discenti (quadranti 1->2->4, oppure 1->3->4);
  • dosare direzione e sostegno a seconda dei quadranti accompagnando i discenti lungo il percorso;
  • portare i discenti al quadrante “target” 4;
  • adattare il proprio stile.

 

* Daniel Pratt “Andragogy as a Relational Construct”

sabato 3 novembre 2012

Creatività e Leadership

page88_1I Leader creativi […] capiscono che in un mondo che cambia sempre più velocemente la creatività è un requisito essenziale per la sopravvivenza degli individui, delle organizzazioni e delle società.

 

Knowles M.S. Journal of Management Development, University of Queensland Business School, Australia, settembre 1983

lunedì 29 ottobre 2012

I livelli della Leadership

Leadership Livello 5

Ho finito non da molto di studiare “Good to Great” di Jim Collins. Un testo da consigliare. Jim Collins ed un gruppo di ricercatori prende in esame 1.435 società apparse nella lista Fortune 500 tra il 1965 ed il 1995. Applicando dei rigidissimi criteri di analisi finanziaria, lo staff di ricercatori identifica solo 11 società “eccellenti”. Da qui, una metodica ed approfondita ricerca porta a definire 7 concetti che queste società hanno dimostrato di possedere e che sembrano aver trasformato queste organizzazioni da “buone” ad “eccellenti”.

I 7 concetti sono:

  1. Leadership di Livello 5
  2. Prima Chi … poi Cosa
  3. Affrontare la Realtà
  4. Concetto del Riccio
  5. Cultura della Disciplina
  6. Accelleratori Tecnologici
  7. Volano

Non approfondirò in questa sede tutti i concetti (li lascio alla curiosità di chi vorrà leggere il libro), ma ci tengo ad evidenziare che l’analisi che Jim Collins fornisce della Leadership è secondo me molto interessante perché ci propone dei “livelli” di Leadership. Ed effettivamente, quando mi ritrovo a confrontarmi sulla Leadership nelle aule formative, nasce un po’ di confusione su cosa fa e cosa non fa il “leader”. A volte sembra che sia il più competente in materia …. a volte non ne sa nulla ma sa gestire la squadra. A volte è un bravo gestore di persone …. a volte è un solitario che viene seguito. A volte raggiunge obiettivi …. a volte li fa raggiungere agli altri.

Tutte cose vere, secondo me, alle quali si finisce per rispondere “dipende dalla situazione”. Ma ecco che il testo ci fornisce una chiave di lettura interessante: tutti i comportamenti sopra descritti sono propri della Leadership, ma probabilmente corrispondono a dei “livelli”:

  • Livello 1, INDIVIDUO DI ELEVATA CAPACITA’: apporta contributi produttivi grazie al suo talento, alla conoscenza alla competenza e alle buone abitudini di lavoro;
  • Livello 2, MEMBRO PROPOSITIVO DI UNA SQUADRA: contribuisce con le proprie capacità individuali al raggiungimento degli obiettivi e lavora con efficacia nell’ambiente di gruppo;
  • Livello 3, MANAGER COMPETENTE: organizza personale e risorse per il conseguimento effettivo ed efficiente di obiettivi predeterminati;
  • Livello 4, LEADER EFFICACE: catalizza l’impegno sul perseguimento di una visione chiara e convincente, stimolando standard superiori di performance.
  • Livello 5, DIRIGENTE: realizza un’eccellenza durevole nel tempo mediante una combinazione di umiltà personale e determinazione professionale.

Illuminante …. per me.

mercoledì 26 settembre 2012

IALT7

Piano piano, siamo alla settima edizione ….

giovedì 6 settembre 2012

giovedì 30 agosto 2012

Insegnante o facilitatore ?

Riparto da qui …..

“Quando analizzai ciò che mi era successo, identificai alcuni cambiamenti fondamentali. Il mio concetto di me stesso era cambiato da insegnante a facilitatore di apprendimento. Il mio ruolo era passato da quello di trasmettitore di contenuti a quello di gestore di un processo e solo secondariamente di risorsa per i contenuti.

In secondo luogo, sentivo che avevo adottato un diverso sistema di ricompensa psicologica. Invece di ottenere le mie gratificazioni controllando gli studenti, le ottenevo lasciandoli liberi. E trovavo che questo fosse molto più soddisfacente.

infine, mi trovai ad assolvere una diversa serie di funzioni, che richiedevano una diversa serie di abilità. invece di svolgere la funzione di pianificatore e trasmettitore di contenuti, cosa che richiedeva principalmente abilità per la loro presentazione, assumevo la funzione di progettista e gestore di processi, cosa che implicava stabilire rapporti, valutare bisogni, coinvolgere gli studenti nella programmazione, mettere in contatto gli studenti con le risorse per l’apprendimento e incoraggiare le loro iniziative.

Da allora, non sono più stato tentato di ritornare al ruolo di insegnante.”

Malcolm Shepherd Knowles., Educational materials Catalog, follet Publishing co., 1981.

lunedì 27 agosto 2012

Riflessioni sulla Riflessione (in Silenzio)

Sono rientrato da circa una settimana dal Workshop “Silence” organizzato da Via Experientia in Islanda. Nessun noioso riassunto, se siete curiosi ecco una selezione delle 576 foto pubblicate su Flickr:

Durante il Workshop abbiamo passato due giornate in completo silenzio, ed ognuno di noi era libero di impiegare il tempo nella libertà più totale. Personalmente mi sono dedicato a degli Hiking non lunghi ed estremamente lenti. Oggi, a distanza di più di una settimana, mi sto lentamente rendendo conto di cosa sia successo. Una delle cose più affascinanti è stata la “dilatazione” del tempo: non avevo orari, non c’erano scadenze o appuntamenti che scandissero il tempo. Complice la presenza di luce solare fino a tardi (c’era luce quasi fino a mezzanotte), avevo perso la sensazione del tempo e questo mi ha permesso di “riflettere”, in un senso del termine che non avevo mai sperimentato.
“Riflessione”, parola semplice e decisamente (da me) abusata. E’ normale, durante i corsi esperienziali, passare dall’Esperienza alla Riflessione (come il ciclo di Kolb ci insegna). Non avevo mai avuto l’occasione di Riflettere per due giornate intere in modo continuo, e non mi ero reso conto di quanto in profondità si possa andare.
L’etimologia di riflettere è interessante: dal latino reflectĕre, ossia ripiegare, volgere indietro. Il suo primo significato deriva dalla fisica, intendendo la capacità della superficie di un corpo di rinviare, sotto forma di onde riflesse, una parte dell’energia delle onde incidenti. Di conseguenza il significato riferito all’atto mentale della riflessione indica “riverberare” il pensiero. La filosofia si è sicuramente interessata alla capacità di riflettere, la pagina di Wikipedia merita sicuramente un’attenta lettura.
Ma a me interessa la “riflessione” da un punto di vista formativo, riferendomi ai momenti di riflessione che proponiamo durante i corsi formativi esperienziali. Quali sono gli obiettivi della riflessione ? Direi:
  • ripensare all’esperienza da altri punti di vista;
  • ascoltare altri punti di vista e riformulare i propri;
  • “scavare”, “rivedere”;
  • far emergere connessioni, spunti, collegamenti, …
  • elaborare;
  • acquisire consapevolezza;
  • usando un termine poco elegante e preso dall’agricoltura “vangare” ….
…. e da quest’ultimo termine nasce una scoperta interessante. Vangare significa rivoltare le zolle di un terreno con la vanga, un’attività che serve all’uomo per coltivare la terra. In latino coltivare si dice còlere da un’antica radice, kwel, che vuole dire “ruotare”, “girare”, “camminare in cerchio”. Dal participio futuro di còlere, nasce la parola cultura. L’analogia è chiara: come l’uomo girando la terra coltiva le piante, noi girando i nostri pensieri (riflettendo) facciamo nascere la nostra cultura ….
Ma di cosa c’è bisogno per riflettere ? Ecco che l’esperienza in Islanda mi ha fatto notare che una delle necessità fondamentali è il tempo; e il tempo deve essere di qualità e di quantità.
Per tempo di qualità intendo:
  • un periodo di tempo in assenza di “noise” (suoni, rumori, squilli, urla, motori, …);
  • un periodo di tempo in assenza di distrazioni (persone esterne, telefoni, eventi che attirino la nostra attenzione, …);
  • un periodo di tempo in un luogo fisico “adatto” (senza “noise”, povero di distrazioni, luminoso, con una temperatura piacevole. Può essere molto soggettivo, ma direi che la natura aiuta molto …);
Per tempo di quantità intendo invece ….. tempo. Tanto tempo. Una domanda mi è sorta spontanea: “nei progetti formativi esperienziali qual è il giusto rapporto tra il tempo dedicato all’esperienza e quello dedicato alla riflessione ?”.
Oltre al tempo, di cosa c’è bisogno per una buona riflessione ? Probabilmente delle buone domande. Le domande sono degli strumenti fondamentali per stimolare la riflessione, in noi stessi e negli altri. Penso che innanzi tutto debbano essere prevalentemente domande aperte (quelle che non prevedono anticipatamente risposte preconfezionate da chi pone le domande e che lasciano maggiore libertà a chi risponde di scegliere forma, contenuto e lunghezza della risposta). Possiamo usare anche le domande chiuse (quelle i cui tipi di risposta sono fissati da chi pone le domande, un classico sono le domande a cui si risponde con un si o con un no), ma con moderazione: la riflessione deve rimanere un momento di esplorazione, di dubbio …. per definire certezze e regole c’è un altro momento (= la Concettualizzazione del ciclo di Kolb).
Infine mi sono chiesto: su cosa fare le domande ? Focalizzando la nostra attenzione sulla formazione “comportamentale” mi viene spontaneo pensare ai comportamenti. Abbiamo vissuto un’esperienza, una situazione dalla quale noi riceviamo degli stimoli ….
SPEC
Step 1. Le “porte” degli stimoli sono i 5 sensi, e quindi possiamo sicuramente porre/porci domande su cosa abbiamo visto, cosa abbiamo sentito (sia audio, sia tattile), sugli odori/profumi, caldo/freddo, gusto ….. L’obiettivo delle domande sui sensi ci permetterà di esplorare ed inquadrare bene la “situazione” o meglio come l’abbiamo percepita.
Step 2: cosa è successo dentro di noi ? Quali Pensieri Consci (Pc) sono scaturiti a seguito delle percezioni ? Probabilmente il nostro cervello ha ripescato vecchie esperienze, altre situazioni, Pregiudizi ed Aspettative navigando nei Pensieri Inconsci (Pi) che sono sfuggiti ad un nostro controllo razionale immediato. Su questi Pi c’è molto da “vangare” …. E poi si apre il mondo delle Emozioni …. Che emozioni abbiamo provato ? Di che intensità ?
Step 3. Quali sono stati i Comportamenti generati dal “mix” di Pc+Pi+E ? Come hanno “risposto” alla situazione questi Comportamenti ? Che conseguenze/Effetti hanno generato ? Quali comportamenti sarebbero stati più efficienti ed efficaci ? ……..
Riflettiamoci.

domenica 5 agosto 2012

Apprendimento formale, non formale e informale

Interessante la visione dell'apprendimento attraverso 3 categorie:
- apprendimento formale: avviene in situazioni strutturate, luoghi e momenti definiti per la formazione (scuole, aule, ....). I docenti sono definiti, così come i programmi didattici. Solitamente prevedono riconoscimenti come diplomi o qualifiche.Solitamente rientrano in piani di crescita intenzionali da parte della persona.
- apprendimento non formale: avviene fuori da luoghi deputati alla formazione formale, ma sono programmati a completamento di questi ultimi.sono intenzionali ma solitamente non portano a certificati riconosciuti.
- apprendimento informale: dato dall'insieme di tutte le esperienze quotidiane. Generano apprendimento se il soggetto procede nella riflessione e nella concettualizzazione (vedi ciclo di Kolb) ma solitamente non sono intenzionali. In questa categoria rientrano le comunità di pratica, i gruppi tra pari, le community web 2.0. Non prevedono certificazioni o diplomi. 

C'è chi come Cross, sostiene che l'80% dei nostri apprendimenti derivi da situazioni informali, e solo il 20% da situazioni formali.

Ho provato a darne una rappresentazione visuale:

sabato 4 agosto 2012

Andragogia e facilitazione

Nel 1968 Malcom Knowles fonda l’Andragogia, la teoria forse più seguita per l’apprendimento degli adulti. Come si può leggere nella pagina di Wikipedia ci sono 6 principi base del modello Andragogico. Ma cosa fa il facilitatore in aula per applicare i 6 principi ? Quali azioni concrete e pragmatiche può attuare per perseguire i 6 principi ?

Provo ad elencare un po’ di idee nella tabella sottostante:

Principio: Azioni del Facilitatore:
1. Concetto di sè

. dare responsabilità al discente (ad esempio far decidere loro la scaletta degli argomenti, gli orari, le regole dell’aula, …..)
. fare in modo che i discenti si gestiscano da soli (lasciarli liberi nei momenti di riflessione, dare loro dei momenti di solitudine per la riflessione, ….. )
. evitare in tutti i modi la dipendenza dal formatore

2. Bisogno di conoscere

. chiedere ai discenti a cosa servirà loro l’argomento oggetto del corso
.chiedere ai discenti in quali situazioni potranno usare l’argomento del corso
.'esaminare assieme ai discenti, i vantaggi che trarranno dall'apprendimento

3. Ruolo dell’esperienza del discente

. garantire e favorire la fase riflessiva dopo l’esperienza
.supportare i discenti nell’apprendimento in collaborazione con altri adulti (esperienze condivise)
. aiutare i discenti a mettere in dubbio esperienze precedenti, pregiudizi, aprire a nuove visioni (uscire dalla Zona di Comfort)

4. disponibilità ad apprendere

. definire assieme ai discenti l’obiettivo del corso
. limitare l’obiettivo a ciò che si può veramente ottenere con il tempo a disposizione per il corso
. al termine del corso chiedere ai discenti se gli obiettivi sono stati raggiunti
. limitare gli argomenti del corso solo a ciò di cui l’adulto ha bisogno

5. orientamento verso l’apprendimento

. definire assieme ai discenti quanto tempo sarà corretto investire nell’apprendimento della nuova competenza, ponderandolo con i vantaggi apportati
. inserire in agenda dei momenti dedicati al ponte logico tra aula e realtà: chiedere ai discenti come applicheranno nella realtà i concetti appresi durante il corso.

6. motivazione

. dedicare del tempo in apertura del corso all’analisi delle pressioni interne (soddisfazione, qualità di vita, …) che i discenti possono avere per intraprendere il percorso di apprendimento
. analizzare con i discenti eventuali motivazioni contrarie all’apprendimento (scarsa considerazione di sè, mancanza di tempo, avversità al cambiamento, ….).

venerdì 3 agosto 2012

IALT Study Tour Belgio

Maggio, giugno e luglio sono stati veramente mesi intensi. A parte il lavoro quotidiano, vi sono state esperienze uniche e particolari. Oltre allo IALT6 già citato come non onorare con uno slideshow il viaggio studio in Belgio ?

Sarebbe difficile raccontare tutto quello su cui abbiamo lavorato in Belgio. Direi però che una delle cose più chiari ed illuminanti che mi sono “portato a casa” è stato uno schema di evoluzione dei gruppi da utilizzare durante i Team Building. Fornisce chiaramente al facilitatore una traccia di come gestire le attività e i debriefing durante un’attività formativa:

Evoluzione Gruppi

Se vi interessa potete scaricare il PDF al seguente link.

Insegnare

Se diventi insegnante, sarai istruito dai tuoi studenti.

Oscar Hammerstein II e Richard Rodgers, il re ed io, 1956.

mercoledì 20 giugno 2012

IALT & Leadership

E’ già passato un mese da IALT6, un mese intenso direi, visto che nel mezzo c’è stato un viaggio studio in Belgio e un BarCamp. Ma andiamo con ordine.
IALT6 è stato impegnativo, forse il più difficile. Qualcuno mi ha detto che è stato veramente “reale”, per alcuni momenti vissuti assieme. Una cosa è certa, ogni IALT che passa, l’intensità è sempre maggiore. Chissà cosa succederà a IALT7 in programma per settembre


A questo IALT abbiamo avuto la fortuna di avere con noi anche Matteo Sandi, un vero fotografo (mica come me …) che ci ha realizzato un Spot video:


Ialt from Matteo Sandi on Vimeo.
Una delle riflessioni fatte dopo IALT6 mi ha portato a tracciare un disegno su un pezzo di carta:
WP_000667
Ho pensato a come la Leadership sia correlata alle situazioni di crisi (intesa come “momenti di difficoltà”, uscita dalla zona di Comfort/apprendimento, aumento di frustrazione/stress, insomma la Crisi come la intende Einstein). Mi sono venute in mente alcune possibili “curve”:
A) persone con alta Leadership solo in momenti di controllo. Appena la situazione aumenta di difficoltà la loro Leadership crolla “verso lo zero”;
B) Leonardo mi ha fatto notare come spesso si possano incontrare persone che abbiano una Leadership “opposta” (geometricamente direi “simmetrica alla curva A): bassa autorità ed autorevolezza in situazioni “tranquille”, diventano Leader in situazioni di difficoltà;
C) rappresentando la Leadership come una retta, e non una curva, ho pensato che possono esserci varie “inclinazioni”. Alcune rette tendono a zero molto velocemente, altre si mantengono alte anche i situazioni di difficoltà;
Per concludere, riguardando il disegno, mi sono chiesto:” … e quale sarà la mia retta/curva della Leadership ? E come vorrei che fosse ?”. Domanda interessante ……

martedì 1 maggio 2012

Insegnare o Facilitare ?

Carl Rogers ci aiuta a rispondere alla domanda definendo il ruolo dell’insegnante come quello del facilitatore di apprendimento. Rogers identifica un elemento critico nello svolgere questo ruolo: quello del rapporto tra il facilitatore ed il discente. Questo rapporto è strettamente collegato al fatto che il facilitatore possieda o meno tre doti attitudinali:

  1. verità o autenticità;
  2. apprezzamento, fiducia e rispetto;
  3. comprensione empatica;

Per perseguire ed allenare queste doti, Rogers ci propone 10 indicazioni che il facilitatore può seguire:

  1. il facilitatore determina e cura l’atmosfera ed il clima della classe perseguendo situazioni di trasparenza, sincerità, fiducia, positività;
  2. il facilitatore agevola l’individuazione degli Obiettivi dei discenti, in questa fase accetta scopi contraddittori o obiettivi conflittuali, trasmette la sensazione che gli individui possano dichiarare liberamente cosa vogliono fare; questo contribuisce a creare un clima favorevole all’apprendimento;
  3. il facilitatore aiuta e guida i discenti ad utilizzare la propria motivazione a realizzare i propri scopi, come forza propulsiva del loro personale apprendimento;
  4. il facilitatore organizza e rende disponibile la più vasta gamma possibile di risorse per l’apprendimento (slide, audiovisivi, contenuti, schede, materiali, ……);
  5. il facilitatore si considera come una risorsa flessibile a disposizione del gruppo;
  6. il facilitatore accetta i contenuti intellettuali e gli atteggiamenti emotivi espressi dalle persone dando loro lo stesso peso ed importanza;
  7. più il facilitatore si fa accettare dal gruppo, più parteciperà in prima persona all’apprendimento diventando un membro del gruppo, esprimendo le sue opinioni come un individuo del gruppo stesso;
  8. il facilitatore offre il proprio contributo personale sotto forma di pensieri ed emozioni, in modo non impositivo, lasciando liberi gli individui di accettarle o rifiutarle. In questo modo può fornire feedback agli studenti, esprimendo soddisfazioni o disappunti;
  9. il facilitatore è continuamente attento alle espressioni emotive, sia negative (dolore, rabbia, contrasto, disprezzo, rivalità, …) che positive (affetto, entusiasmo, soddisfazione, …). Aiuta i discenti a portarli allo scoperto per una consapevolezza costruttiva per l’uso da parte del gruppo;
  10. il facilitatore riconosce e accetta i propri limiti. Il facilitatore può garantire la libertà ai discenti, solo nella misura in cui si sente a suo agio nel concederla. Se il facilitatore si scopre diffidente verso gli studenti, non accetta determinati atteggiamenti, dovrà esprimerli e farli venire a galla con trasparenza e sincerità. In questo modo otterrà un clima purificato ed adatto all’apprendimento.

venerdì 20 aprile 2012

Crisi ?

Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall'angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura.
E' nella crisi che nasce l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e da più valore ai problemi che alle soluzioni.

La vera crisi è la crisi dell'incompetenza.
L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d'uscita.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c'è merito.
E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono lievi brezze.

Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo.
Invece, lavoriamo duro.
Finiamola una volta per tutto con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.
Albert Einstein

domenica 19 febbraio 2012

Problem Solving

Processo di Problem Solving

Prendi due o tre modelli di Problem Solving, aggregali, ed ecco quello che potrebbe emergere.

1. Definisci il problema

Wikipedia definisce il problema come “ un ostacolo che rende difficile raggiungere un determinato obiettivo o soddisfare una certa esigenza, frapponendosi tra la volontà dell'individuo e la realtà oggettiva”. Per definire bene il problema potrebbe tornare utile porsi le seguenti domande:

    • Qual’è il problema ?
    • E’ un mio problema ?
    • Posso risolverlo ? Vale la pena risolverlo ?
    • E’ questo il vero problema o semplicemente il sintomo di uno più grande ?
    • Se questo è un vecchio problema, cosa c’è di sbagliato nella soluzione precedente ?
    • C’è bisogno di una soluzione immediata o può aspettare ?
    • C’è la possibilità che si risolva da solo?
    • Posso ignorare il rischio ?
    • Il problema ha dimensioni etiche ?
    • Quali condizioni devono essere soddisfatte con la soluzione ?
    • La soluzione può modificare qualche cosa che deve rimanere invariata ?

2. Raccogli le Informazioni

  • Cerca tutte le informazioni che riguardano il problema siano esse fatti o dati numerici. Intervista esperti o fonti attendibili. Cerca eventi osservati, passati o presenti, sia personalmente o segnalati da altri.
  • Identifica gli individui, i gruppi, le organizzazioni affette dal problema. Identifica i decisori e le persone importanti ed influenti.
  • Identifica in modo chiaro e dettagliato il contesto (confini, vincoli, risorse, tempistiche, ….)
  • Le opinioni dei decisori saranno importanti per il successo della vostra decisione. Nelle opinioni è importante riconoscere le verità dai pregiudizi. Le ipotesi possono farci risparmiare del tempo e del lavoro, perché spesso è difficile ottenere tutti i dati.

3. Sviluppa alternative

E’ il momento della Creatività. La tecnica del BrainStorming è sicuramente una delle migliori da applicare in questa fase.

4. Pesa le alternative

Dopo aver elencato le possibili alternative è importante pesarle e dare loro una “votazione”. In questa fase possono essere d’aiuto tecniche come la matrice di Thomas Saaty o la matrice SFF.

5. Seleziona le migliori alternative

Una volta pesate seleziona le migliori alternative, senza dimenticarsi però ….

  • Non considerare alcuna alternativa come la “soluzione perfetta”;
  • Ascolta le tue intuizioni o i tuoi stati d’animo;
  • Vai da un estraneo di fiducia e chiedi il suo (esterno) Punto di Vista, potrebbe vedere cose che voi non vedete più;
  • Considerate anche il compromesso, soprattutto quando si ha una piena comprensione del problema, e le vostre alternative possono dare origine ad una soluzione ibrida.

6. Implementa le soluzioni

E’ il momento di progettare l’implementazione delle soluzioni decise. Create un Piano d’Azione (Chi fa Che Cosa, Quando, Dove , Come e Perchè). Ricordatevi di informare chiunque sia interessato o toccato dal Piano d’Azione.

7. Monitora i progressi

L’implementazione avrà successo solo se verrà monitorato lo svolgimento, gli effetti sulle risorse e le parti interessate, la timeline ed i vostri progressi. Attenzione: se i risultati non sono quelli che ci si aspettava essere in grado di bloccare il Piano d’Azione. Studiando i risultati ottenuti dovrò decidere se implementare altre soluzioni elencate nel punto 5 o ritornare al punto 3 e sviluppare nuove soluzioni.

8. Check + Act

Come il ciclo di Deming ci insegna, qualsiasi sia il risultato ottenuto, sarà fondamentale per la nostra crescita fare un Check del processo elencando errori e successi e procedere con le azioni correttive o di standardizzazione (Act) necessarie.

martedì 7 febbraio 2012

Mappe Mentali alle Elementari

Finalmente le Mappe Mentali vengono insegnate già dalle scuole elementari ….. I miei complimenti alla maestra di Emma.

domenica 29 gennaio 2012

Distorsioni cognitive

Ripartendo dal Post precedente …… a volte leggiamo in modo errato gli stimoli che la Situazione ci porge. Beck ci propone una serie di “distorsioni cognitive”, degli errori di logica in cui cade il ns. emisfero sinistro e che influenzano poi in modo limitante l’interpretazione della Situazione che stiamo vivendo.

Ecco alcune delle principali distorsioni proposte da Beck:

  • Pensiero dicotomico. Il soggetto accetta solo posizioni estreme: o tutto o niente. Questo tipo di ragionamento è molto pericoloso perché non permette l’esplorazione di alternative o strategie di apprendimento del tipo prova/errori.
  • Interferenza arbitraria. Trarre conclusioni senza prove.
  • Astrazione selettiva. Il soggetto si focalizza su un dettaglio e non percepisce il significato globale di tutta la situazione.
  • Generalizzazioni. Estendere a tutte le possibili situazioni un’esperienza sfortunata e isolata.
  • Doverizzazioni: eccessivo uso di espressioni tipo “dovrei", "devo", "bisogna", si deve" segnala un atteggiamento rigido e in diretta connessione con la presenza di regole personali.
  • Etichettamento: etichettare una persona con una etichetta globale piuttosto che fare riferimento a specifici eventi o azioni.
  • Ragionamenti Emotivi: considerare le proprie emozioni come valore della situazione reale (ad esempio si prova situazione di sfiducia e si conclude che la situazione è senza speranza).
  • Riferimento al destino. L’individuo agisce come se il destino comandasse qualsiasi situazione. Tipica di persone con Locus of Control esterno.

martedì 10 gennaio 2012

Comportamentale

Tempo di vacanze e tempo di nuove conoscenze. Ecco un classico scambio di battute quando conosco nuove persone:
  • altro: “di cosa di occupi ?”
  • io: “formazione, faccio il formatore”
  • altro: “ ah, davvero, e cosa insegni ?”
  • io: “ beh, insegnare è una parola un po’ grande …. comunque mi occupo di comportamentale”
  • altro (espressione perplessa): “comportame …. che ? non ho capito ….”
E qui nasce il problema: spiegare che cos’è il comportamentale. Direi che questa è l’occasione buona per dire come la penso. Innanzi tutto qualche cenno storico: il comportamentale (o comportamentismo o psicologia comportamentale o movimento behaviorista) è un approccio alla psicologia. Nasce agli inizi del novecento grazie agli studi di John Watson. Uno degli obiettivi di Watson era rendere la psicologia una disciplina scientifica fondata sulla sperimentazione, allontanandosi dalle teorie mentaliste allora prevalenti. Watson era interessato allo studio del comportamento osservabile delle persone con la situazione circostante. La situazione, l’ambiente circostante rappresentano degli Stimoli per le persone, le quali rispondono con determinate Risposte attraverso il loro Comportamento.
La teoria comportamentista si evolverà poi attraverso altri studiosi (per chi è interessato ecco il link a Wikipedia sul comportamentismo). Quello che è importante sottolineare è che, secondo questa teoria, i comportamenti risultano frutto di un apprendimento. Essendo stati appresi, possono anche essere sostituiti: comportamenti inefficaci o che creano difficoltà possono essere sostituiti con comportamenti migliori. Ecco la mia personalissima Analisi e Sintesi:
Cattura
(S) rappresenta la situazione: persone, luoghi, contesti, condizioni, stati, circostanze, occasioni, momenti o contingenze. Come visto sopra ogni Situazione rappresenta uno Stimolo per la persona che la interpreta attraverso il Pensiero (P) e l’Emozione (E).
Con Pensiero (P) intendo l’uso del cervello sia nella sua funzione Sinistra (Razionalità, Logica, Analisi, memoria a breve), sia nella sua funzione Destra (Irrazionalità, Intuizione, Sintesi, memoria a lungo termine). Interessante è notare che prevarrà una delle due aree a seconda che la Situazione sia nuova o abitudinaria. Di fronte ad una Situazione nuova è probabile che prevarrà la nostra necessità di Analisi della situazione stessa, formuleremo conclusioni (Razionalità), ragioneremo in modo Logico; useremo quindi la parte Sinistra per definire un nuovo Modello Comportamentale. In una Situazione abitudinaria potrebbe prevalere la parte Destra che in modo inconscio ci fa utilizzare Modelli di Comportamento già acquisiti che risiedono oramai nella memoria a lungo termine. Interessante è notare come in situazioni nuove elaboriamo dei Modelli Comportamentali (= a determinati Stimoli adottiamo un determinato comportamento come Risposta): il feedback che la Situazione ci restituisce (in termini di successi, insuccessi, premi, punizioni, …..) modifica o rafforza il Modello Comportamentale appreso (condizionamento operante).
Con Emozione (E) intendo invece il mondo dell’Intelligenza Emotiva, che come ben spiega Wikipedia, “rappresenta la capacità di riconoscere, valutare e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni”. Le emozioni che proviamo influenzano in modo diretto (a volte consapevolmente a volte inconsapevolmente) il nostro Comportamento e quindi la Risposta che daremo allo Stimolo della situazione. In estrema sintesi posso concludere che il nostro Comportamento (C) rappresenta la nostra Risposta alla Situazione attraverso un algoritmo tra Pensiero Conscio (sinistro), Pensiero Inconscio (destro) ed Emozioni.
E la persona che ho appena conosciuto alla quale volevo spiegare cos’è il Comportamentale ? Ammettendo che mi sia stata ad ascoltare mentre gli spiegavo tutto questo (ho forti dubbi …), potrebbe a questo punto chiedermi: “e tu, come formatore, cosa c’entri in tutto questo?” . Domanda corretta. Innanzi tutto il termine “formatore” è probabilmente sbagliato: sarebbe più corretto usare “facilitatore”, perché posso agire “facilitando” tre processi:
  1. permettere che le persone acquisiscano consapevolezza sui propri ed altrui Comportamenti;
  2. analizzare e valutare assieme ai partecipanti quali sono i Comportamenti più efficaci ed efficienti per determinate Situazioni;
  3. proporre “Modelli Comportamentali” ad hoc per determinate Situazioni (che poi la persona dovrà saper adattare/migliorare/personalizzare).