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Il Modello delle 4C

Ho sempre ritenuto importante lavorare sui modelli teorici appresi, cercare di personalizzarli, renderli “miei” e soprattutto cercare differenze e analogie con altri modelli. Spesso alcuni modelli che provengono da scuole, filosofie e correnti di pensiero diverse, presentano alcune analogie molto forti. Quando questo accade, il modello mi interessa e mi incuriosisce particolarmente. E’ come se il fatto che diverse linee di pensiero arrivino alla stessa conclusione, renda il modello per me più “valido”.

In questo caso parto dai seguenti modelli:
• Concetto di competenza
• Ciclo dell’apprendimento di Kolb
• Apprendimento trasformativo di Mezirow

Il concetto di competenza da cui parto, l’ho appreso da Monica Fedeli, professoressa di scienze dalla formazione presso l’Università di Padova:


Competenza = conoscenza + capacità

La conoscenza (knowledge, sapere) è tutto ciò che possiamo trasmettere a voce o attraverso la scrittura, direi che è pura teoria. La capacità invece è intesa come abilità, il saper fare. Secondo la definizione vista sopra, la competenza è quando la conoscenza è messa in azione e diventa capacità, oppure quando la capacità è guidata da una conoscenza. Non sempre conoscenza e capacità si sovrappongono. Esistono molte persone che hanno la conoscenza, ma non sanno trasformarla in capacità. Così come persone capaci che non hanno la conoscenza di ciò che stanno facendo. Per far un esempio personale, io stesso mi reputo “capace” di guidare un’auto, ma non penso di avere la relativa conoscenza. Forse l’ho posseduta dopo aver fatto l’esame di guida, quando possedevo il ricordo dello studio teorico. Ora la conoscenza è diventata implicita (come direbbero
Nonaka e Takeuchi).

Sviluppare Competenze significa apprendere, ci deve essere quindi un collegamento tra questo modello ed il ciclo dell’apprendimento di Kolb. Le capacità si sviluppano facendo esperienza nella realtà, le conoscenze si sviluppano con i libri e nei corsi, quindi nel mondo della Teoria.

Inserisco quindi l’esperienza, elemento tanto caro a Kolb, alla base del modello. Dalla parte opposta il mondo della Teoria, ciò che si crea attraverso la fase di concettualizzazione del ciclo di Kolb. I due mondi sono naturalmente lontani, ma entrambi sono necessari per lo sviluppo della competenza.
Ma come passare dall’esperienza alla teoria, o viceversa dalla teoria alla realtà ? Attraverso due processi mentali ben definiti dal mondo filosofico: l’induzione e la deduzione.

Come recita wikipedia l’induzione è “è un procedimento che partendo da singoli casi particolari cerca di stabilire una legge universale”, mentre la deduzione “è il procedimento razionale che fa derivare una certa conclusione da premesse più generiche”. Dopo aver vissuto una esperienza nel modo reale, il processo di induzione (quella che Kolb chiama riflessione attiva) ci permette di costruire dei modelli teorici di riferimento. Se invece partiamo da modelli e teorie , attraverso il processo mentale della deduzione possiamo gettare un ponte tra la teoria e la realtà. 

Tutto il modello è (per così dire) immerso nelle “Convinzioni” quelle che Jack Mezirow chiama “sistemi di riferimento” o “prospettive di significato”. Si tratta di valori profondi, principi di riferimento che guidano più o meno consapevolmente i nostri comportamenti. Modificare le nostre convinzioni parte, secondo la teoria dell’apprendimento trasformativo, da un “dilemma disorientante”.
Ecco quindi il modello delle 4C: Conoscenza, Capacità, Competenza e Convinzioni. Le 4 parole potrebbero non essere le migliori (ad esempio Abilità è forse meglio di Capacità …) ma ho preferito individuare 4 parole che avessero le stesse iniziali per facilitare la memorizzazione del modello.

Cosa sono le Soft Skills ?

Nel mondo della formazione si parla spesso di Soft Skills. Ma cosa sono veramente? Ho provato spesso a cercare una definizione.


Continuando a navigare si può trovare di tutto:
- caratteristiche personali importanti in qualsiasi contesto lavorativo
- riguardano le capacità comportamentali e relazionali di un individuo e che possono essere applicabili a una vasta gamma di settori.
- sono le soft skills, ovvero le competenze trasversali, a renderci più attrattivi e performanti sia in fase di selezione che sul posto di lavoro.
- Per soft skill intendiamo una particolare abilità e competenza di un soggetto propedeutica all’interazione efficace e produttiva con gli altri, sia sul posto di lavoro che al di fuori di esso.
- …..

Nella varietà delle definizioni mi permetto di dare il mio contributo, proponendo la mia personale definizione:
Le competenze Comportamentali (Soft Skills) sono una serie di abilità, guidate da relative conoscenze, che permettono alla persona di adottare precisi comportamenti al fine di rendere le situazioni di vita efficaci ed efficienti.

Nella mia definizione ci sono alcune parole che ritengo importanti: innanzi tutto la presenza di “abilità” che vengono guidate consapevolmente da “conoscenze” acquisite. Questo per garantire la definizione di Competenza = abilità + conoscenza.
Importante sottolineare che le competenze servono per adottare “comportamenti” precisi, scelti e definiti dalla persona, direi in modo “consapevole” e non casuale o inconsapevole.
Infine lo scopo: adottare precisi comportamenti serve per rendere la situazione che stiamo vivendo efficace ed efficiente. Chiaramente è importante avere chiaro gli obiettivi per cui stiamo operando, altrimenti sarebbe difficile definire l’efficacia e l’efficienza.

Interessante anche capire qual è la differenza tra le Soft Skills (Competenze Comportamentali) e le Hard Skills (Competenze Tecniche) da un punto di vista di apprendimento. Per spiegarmi farò uso dello schema che trovate sopra a questo Post.
Riparto dalla definizione: ci servono abilità e conoscenze, e su questo Hard e Soft sono uguali. La differenza fondamentale sta sul livello di generalizzazione delle conoscenze. Nelle Hard il livello di generalizzazione delle conoscenze teoriche è basso: generalmente si tratta di regole o precisi processi. Pensiamo alla grammatica di qualsiasi lingua (regole grammaticali) o alla sequenza di comandi necessaria per svolgere una funzione con un software. Alla persona non è richiesta molta “interpretazione”: deve eseguire con precisione le regole e le norme che la conoscenza detta, sviluppare abilità con la ripetizione e l’allenamento, e la competenza è acquisita.

Con le Soft Skills invece il livello di generalizzazione della conoscenza è elevato. Si parla di “concetti”, “principi”, “assiomi”, “modelli teorici”. La conoscenza è molto più astratta e richiede alla persona molta interpretazione per “portare a terra” e trasformare “la teoria in pratica”. Questa possibilità di ampia interpretazione comporta che lo stesso “concetto” possa essere applicato e trasformato in migliaia di comportamenti diversi. Quale sarà quello corretto? L’efficacia e l’efficienza può essere data solo dal risultato della situazione.
Penso che sia per questo motivo che le Soft Skills siano una materia difficile: richiedono alla persona molto più lavoro deduttivo (dal generale al particolare). La formazione e lo studio della conoscenza sulle Soft Skills non danno la ricetta di come comportarsi, forniscono ingredienti. La persona che studia le Soft Skills nel suo lavoro deduttivo è chiamata a prendere decisioni rischiose: di solito non c’è una risposta nella conoscenza; ci sono solo scelte e i risultati vanno chiaramente definiti se si vuole essere performanti.


mercoledì 28 novembre 2018

Confronto o discussione ?


Potrebbe essere interessante osservarci ed osservare gli altri durante un dialogo: c'è Confronto, Dibattito o Discussione ?
La proposta che lancio è di fare un percorso a ritroso, partire dal comportamento "dialettico" e risalire alle emozioni. Vediamo quattro tipi di frasi che potremmo pronunciare o sentire pronunciare:

- "No !" L'atteggiamento è Negativo e Distruttivo. C'è un rifiuto di ciò che l'interlocutore sta proponendo. Qual è l'emozione o lo stato d'animo che sta guidando ? Sicuramente non c'è la volontà di ascoltare un altro Punto di Vista ma piuttosto c'è la volontà di imporre il proprio. E' forse sfiducia nei confronti dell'interlocutore ? Rabbia ? Paura ? Ognuno può avere la propria risposta. L'importante è cercarla. In questo caso non parlerei di Confronto: è puro Dibattito.
- "No ma ....". Un atteggiamento un po' migliore rispetto al precedente. C'è uno spiraglio nei confronti dell'interlocutore, l'atteggiamento è Costruttivo ma ancora Negativo. Disagio ? Frustrazione ? Catalogherei questa situazione come una "discussione".
- "Si, ma ...". Il contrario del caso precedente: atteggiamento Positivo ma Distruttivo. Userei ancora l'espressione "discussione" e penso che potrebbe essere causata ancora da sensazioni quali frustrazione, disagio, fastidio.
- "Si e ....". Finalmente quello che può essere chiamato "Confronto". Sensazioni di Fiducia, Sicurezza, potrebbero darci un atteggiamento Positivo e Costruttivo.

Oltre alle sensazioni e alle emozioni potremmo ampliare lo stesso ragionamento per Pensieri Consci o Inconsci, quali pregiudizi, etichette o ricordi di esperienze passate.
Adesso non ci resta che "sperimentare" sul campo (nel senso di Kolb) ....

IALT9

Dal 2010 gli IALT scandiscono i miei periodi lavorativi come delle pietre miliari. Ogni volta torno a casa che ho imparato qualche cosa. Allo IALT9 devo ringraziare Sandro Cacciatori, che utilizza la metodologia esperienziale nel sociale.

Partendo dalla teoria di John Adair sulla Leadership, Sandro mi ha illuminato su un particolare del TeamWork.

Se per qualche motivo la squadra si muove senza un obiettivo SMART (il cerchio TASK del diagramma di Adair), il leader dovrà favorire (o forse sarebbe meglio dire “garantire”) che le persone (INDIVIDUAL) all’interno del TEAM si diano costanti feedback sul loro stato emotivo, soprattutto se le emozioni sono negative (frustrazione, confusione, delusione, ….), pena l’inevitabile scontro all’interno del team.

C’è da lavorarci …… nel frattempo, tornando a IALT, spazio alle immagini per riflettere sull’esperienza vissuta.

Siamo partiti ….

Questo Post è tratto da “Resilienza Lab”, il blog a supporto del progetto formativo sullo sviluppo della Resilienza presso ClimaVeneta spa
Sabato 4 maggio ci siamo trovato ai piedi del Monte Grappa. 12 persone dell’azienda, io,Tania, Matteo, Marco e Davide.
C’eravamo tutti ? Questa è stata una domanda frequente.
E’ questo il gruppo o manca qualcuno ? Anche questa domanda si è ripetuta.
Ma una cosa è importante: 12 persone sono partite per un percorso.

Non era ben chiaro se sarebbe stata una scampagnata o una giornata formativa, io direi che è stata una giornata in cui abbiamo vissuto un’esperienza e dall’esperienza sono nate delle riflessioni e delle domande.
Il tema del percorso è la Resilienza, e dopo questa giornata penso sia chiaro a tutti dove la possiamo incontrare.
zona comfort
Qualsiasi essere umano si crea attraverso abitudini ed allenamento una Zona di Comfort; in questa zona tutto è conosciuto, so come muovermi, come comportarmi. E’ una zona collaudata.
Fuori della Zona di Comfort c’è un’area chiamata Zona di Apprendimento, così chiamata perché è dove affrontiamo situazioni nuove e dove non ci è chiaro come dobbiamo comportarci. In questa zona si possono provare varie tipologie di emozioni, da positive (curiosità, sorpresa, divertimento, …) a negative (disagio, fastidio, noia, frustrazione, rabbia, …). Spesso a causare la positività o la negatività delle emozioni è la volontà o dalla motivazione ad uscire dalla Zona Comfort ed entrare nella Zona di Apprendimento. Ci esco io di mia spontanea volontà o qualcuno mi ci porta ? Spesso nella formazione qualcuno mi ci porta, perché il corso di formazione viene organizzato dall’azienda per me. Ma io ho voglia di andarci ?
Un’altra cosa importante: più mi allontano dalla Zona di Comfort e più le emozioni aumentano di intensità. Fuori dalla Zona di Apprendimento le emozioni possono essere molto forti: in Zona di Panico possiamo provare angoscia, terrore, panico. La reazione istintiva è una sola: tornare più velocemente possibile in Zona Comfort.
Bene, penso che in questa uscita tutti noi abbiamo preso consapevolezza come la Resilienza possa essere esercitata solo fuori dalla Zona di Comfort. In questo senso certe emozioni possono essere viste come un “segnale”: mi avvisano che sono in una situazione in cui posso allenare la mia Resilienza. E’ sicuramente un profondo cambio di prospettiva: da certe emozioni (disagio, noia, fastidio, ….) normalmente  mi allontano; ora invece quando le provo so che ho un’opportunità da sfruttare: posso provare a “resiliere”, posso allenarmi.
Buon viaggio a tutti.
In questo set di Flickr tutte le foto del percorso formativo.

Cosa ho imparato oggi ?

Dal quaderno degli appunti di oggi:

Appunti di oggi

In partenza per IALT8

IALT cresce, siamo all’8° edizione. Questa volta ci trasferiamo in Lettonia, dove ci aspetta Rolands,  il 3° Trainer Esperienziale di EZI.

Chissà che ci aspetta, nel frattempo ecco la traccia delle giornate, rigorosamente in modalità SketchNote:

Timetable IALT8

Riflessioni sulla Riflessione (in Silenzio)

Sono rientrato da circa una settimana dal Workshop “Silence” organizzato da Via Experientia in Islanda. Nessun noioso riassunto, se siete curiosi ecco una selezione delle 576 foto pubblicate su Flickr:

Durante il Workshop abbiamo passato due giornate in completo silenzio, ed ognuno di noi era libero di impiegare il tempo nella libertà più totale. Personalmente mi sono dedicato a degli Hiking non lunghi ed estremamente lenti. Oggi, a distanza di più di una settimana, mi sto lentamente rendendo conto di cosa sia successo. Una delle cose più affascinanti è stata la “dilatazione” del tempo: non avevo orari, non c’erano scadenze o appuntamenti che scandissero il tempo. Complice la presenza di luce solare fino a tardi (c’era luce quasi fino a mezzanotte), avevo perso la sensazione del tempo e questo mi ha permesso di “riflettere”, in un senso del termine che non avevo mai sperimentato.
“Riflessione”, parola semplice e decisamente (da me) abusata. E’ normale, durante i corsi esperienziali, passare dall’Esperienza alla Riflessione (come il ciclo di Kolb ci insegna). Non avevo mai avuto l’occasione di Riflettere per due giornate intere in modo continuo, e non mi ero reso conto di quanto in profondità si possa andare.
L’etimologia di riflettere è interessante: dal latino reflectĕre, ossia ripiegare, volgere indietro. Il suo primo significato deriva dalla fisica, intendendo la capacità della superficie di un corpo di rinviare, sotto forma di onde riflesse, una parte dell’energia delle onde incidenti. Di conseguenza il significato riferito all’atto mentale della riflessione indica “riverberare” il pensiero. La filosofia si è sicuramente interessata alla capacità di riflettere, la pagina di Wikipedia merita sicuramente un’attenta lettura.
Ma a me interessa la “riflessione” da un punto di vista formativo, riferendomi ai momenti di riflessione che proponiamo durante i corsi formativi esperienziali. Quali sono gli obiettivi della riflessione ? Direi:
  • ripensare all’esperienza da altri punti di vista;
  • ascoltare altri punti di vista e riformulare i propri;
  • “scavare”, “rivedere”;
  • far emergere connessioni, spunti, collegamenti, …
  • elaborare;
  • acquisire consapevolezza;
  • usando un termine poco elegante e preso dall’agricoltura “vangare” ….
…. e da quest’ultimo termine nasce una scoperta interessante. Vangare significa rivoltare le zolle di un terreno con la vanga, un’attività che serve all’uomo per coltivare la terra. In latino coltivare si dice còlere da un’antica radice, kwel, che vuole dire “ruotare”, “girare”, “camminare in cerchio”. Dal participio futuro di còlere, nasce la parola cultura. L’analogia è chiara: come l’uomo girando la terra coltiva le piante, noi girando i nostri pensieri (riflettendo) facciamo nascere la nostra cultura ….
Ma di cosa c’è bisogno per riflettere ? Ecco che l’esperienza in Islanda mi ha fatto notare che una delle necessità fondamentali è il tempo; e il tempo deve essere di qualità e di quantità.
Per tempo di qualità intendo:
  • un periodo di tempo in assenza di “noise” (suoni, rumori, squilli, urla, motori, …);
  • un periodo di tempo in assenza di distrazioni (persone esterne, telefoni, eventi che attirino la nostra attenzione, …);
  • un periodo di tempo in un luogo fisico “adatto” (senza “noise”, povero di distrazioni, luminoso, con una temperatura piacevole. Può essere molto soggettivo, ma direi che la natura aiuta molto …);
Per tempo di quantità intendo invece ….. tempo. Tanto tempo. Una domanda mi è sorta spontanea: “nei progetti formativi esperienziali qual è il giusto rapporto tra il tempo dedicato all’esperienza e quello dedicato alla riflessione ?”.
Oltre al tempo, di cosa c’è bisogno per una buona riflessione ? Probabilmente delle buone domande. Le domande sono degli strumenti fondamentali per stimolare la riflessione, in noi stessi e negli altri. Penso che innanzi tutto debbano essere prevalentemente domande aperte (quelle che non prevedono anticipatamente risposte preconfezionate da chi pone le domande e che lasciano maggiore libertà a chi risponde di scegliere forma, contenuto e lunghezza della risposta). Possiamo usare anche le domande chiuse (quelle i cui tipi di risposta sono fissati da chi pone le domande, un classico sono le domande a cui si risponde con un si o con un no), ma con moderazione: la riflessione deve rimanere un momento di esplorazione, di dubbio …. per definire certezze e regole c’è un altro momento (= la Concettualizzazione del ciclo di Kolb).
Infine mi sono chiesto: su cosa fare le domande ? Focalizzando la nostra attenzione sulla formazione “comportamentale” mi viene spontaneo pensare ai comportamenti. Abbiamo vissuto un’esperienza, una situazione dalla quale noi riceviamo degli stimoli ….
SPEC
Step 1. Le “porte” degli stimoli sono i 5 sensi, e quindi possiamo sicuramente porre/porci domande su cosa abbiamo visto, cosa abbiamo sentito (sia audio, sia tattile), sugli odori/profumi, caldo/freddo, gusto ….. L’obiettivo delle domande sui sensi ci permetterà di esplorare ed inquadrare bene la “situazione” o meglio come l’abbiamo percepita.
Step 2: cosa è successo dentro di noi ? Quali Pensieri Consci (Pc) sono scaturiti a seguito delle percezioni ? Probabilmente il nostro cervello ha ripescato vecchie esperienze, altre situazioni, Pregiudizi ed Aspettative navigando nei Pensieri Inconsci (Pi) che sono sfuggiti ad un nostro controllo razionale immediato. Su questi Pi c’è molto da “vangare” …. E poi si apre il mondo delle Emozioni …. Che emozioni abbiamo provato ? Di che intensità ?
Step 3. Quali sono stati i Comportamenti generati dal “mix” di Pc+Pi+E ? Come hanno “risposto” alla situazione questi Comportamenti ? Che conseguenze/Effetti hanno generato ? Quali comportamenti sarebbero stati più efficienti ed efficaci ? ……..
Riflettiamoci.

Insegnare o Facilitare ?

Carl Rogers ci aiuta a rispondere alla domanda definendo il ruolo dell’insegnante come quello del facilitatore di apprendimento. Rogers identifica un elemento critico nello svolgere questo ruolo: quello del rapporto tra il facilitatore ed il discente. Questo rapporto è strettamente collegato al fatto che il facilitatore possieda o meno tre doti attitudinali:

  1. verità o autenticità;
  2. apprezzamento, fiducia e rispetto;
  3. comprensione empatica;

Per perseguire ed allenare queste doti, Rogers ci propone 10 indicazioni che il facilitatore può seguire:

  1. il facilitatore determina e cura l’atmosfera ed il clima della classe perseguendo situazioni di trasparenza, sincerità, fiducia, positività;
  2. il facilitatore agevola l’individuazione degli Obiettivi dei discenti, in questa fase accetta scopi contraddittori o obiettivi conflittuali, trasmette la sensazione che gli individui possano dichiarare liberamente cosa vogliono fare; questo contribuisce a creare un clima favorevole all’apprendimento;
  3. il facilitatore aiuta e guida i discenti ad utilizzare la propria motivazione a realizzare i propri scopi, come forza propulsiva del loro personale apprendimento;
  4. il facilitatore organizza e rende disponibile la più vasta gamma possibile di risorse per l’apprendimento (slide, audiovisivi, contenuti, schede, materiali, ……);
  5. il facilitatore si considera come una risorsa flessibile a disposizione del gruppo;
  6. il facilitatore accetta i contenuti intellettuali e gli atteggiamenti emotivi espressi dalle persone dando loro lo stesso peso ed importanza;
  7. più il facilitatore si fa accettare dal gruppo, più parteciperà in prima persona all’apprendimento diventando un membro del gruppo, esprimendo le sue opinioni come un individuo del gruppo stesso;
  8. il facilitatore offre il proprio contributo personale sotto forma di pensieri ed emozioni, in modo non impositivo, lasciando liberi gli individui di accettarle o rifiutarle. In questo modo può fornire feedback agli studenti, esprimendo soddisfazioni o disappunti;
  9. il facilitatore è continuamente attento alle espressioni emotive, sia negative (dolore, rabbia, contrasto, disprezzo, rivalità, …) che positive (affetto, entusiasmo, soddisfazione, …). Aiuta i discenti a portarli allo scoperto per una consapevolezza costruttiva per l’uso da parte del gruppo;
  10. il facilitatore riconosce e accetta i propri limiti. Il facilitatore può garantire la libertà ai discenti, solo nella misura in cui si sente a suo agio nel concederla. Se il facilitatore si scopre diffidente verso gli studenti, non accetta determinati atteggiamenti, dovrà esprimerli e farli venire a galla con trasparenza e sincerità. In questo modo otterrà un clima purificato ed adatto all’apprendimento.

Distorsioni cognitive

Ripartendo dal Post precedente …… a volte leggiamo in modo errato gli stimoli che la Situazione ci porge. Beck ci propone una serie di “distorsioni cognitive”, degli errori di logica in cui cade il ns. emisfero sinistro e che influenzano poi in modo limitante l’interpretazione della Situazione che stiamo vivendo.

Ecco alcune delle principali distorsioni proposte da Beck:

  • Pensiero dicotomico. Il soggetto accetta solo posizioni estreme: o tutto o niente. Questo tipo di ragionamento è molto pericoloso perché non permette l’esplorazione di alternative o strategie di apprendimento del tipo prova/errori.
  • Interferenza arbitraria. Trarre conclusioni senza prove.
  • Astrazione selettiva. Il soggetto si focalizza su un dettaglio e non percepisce il significato globale di tutta la situazione.
  • Generalizzazioni. Estendere a tutte le possibili situazioni un’esperienza sfortunata e isolata.
  • Doverizzazioni: eccessivo uso di espressioni tipo “dovrei", "devo", "bisogna", si deve" segnala un atteggiamento rigido e in diretta connessione con la presenza di regole personali.
  • Etichettamento: etichettare una persona con una etichetta globale piuttosto che fare riferimento a specifici eventi o azioni.
  • Ragionamenti Emotivi: considerare le proprie emozioni come valore della situazione reale (ad esempio si prova situazione di sfiducia e si conclude che la situazione è senza speranza).
  • Riferimento al destino. L’individuo agisce come se il destino comandasse qualsiasi situazione. Tipica di persone con Locus of Control esterno.
domenica 29 gennaio 2012

Comportamentale

Tempo di vacanze e tempo di nuove conoscenze. Ecco un classico scambio di battute quando conosco nuove persone:
  • altro: “di cosa di occupi ?”
  • io: “formazione, faccio il formatore”
  • altro: “ ah, davvero, e cosa insegni ?”
  • io: “ beh, insegnare è una parola un po’ grande …. comunque mi occupo di comportamentale”
  • altro (espressione perplessa): “comportame …. che ? non ho capito ….”
E qui nasce il problema: spiegare che cos’è il comportamentale. Direi che questa è l’occasione buona per dire come la penso. Innanzi tutto qualche cenno storico: il comportamentale (o comportamentismo o psicologia comportamentale o movimento behaviorista) è un approccio alla psicologia. Nasce agli inizi del novecento grazie agli studi di John Watson. Uno degli obiettivi di Watson era rendere la psicologia una disciplina scientifica fondata sulla sperimentazione, allontanandosi dalle teorie mentaliste allora prevalenti. Watson era interessato allo studio del comportamento osservabile delle persone con la situazione circostante. La situazione, l’ambiente circostante rappresentano degli Stimoli per le persone, le quali rispondono con determinate Risposte attraverso il loro Comportamento.
La teoria comportamentista si evolverà poi attraverso altri studiosi (per chi è interessato ecco il link a Wikipedia sul comportamentismo). Quello che è importante sottolineare è che, secondo questa teoria, i comportamenti risultano frutto di un apprendimento. Essendo stati appresi, possono anche essere sostituiti: comportamenti inefficaci o che creano difficoltà possono essere sostituiti con comportamenti migliori. Ecco la mia personalissima Analisi e Sintesi:
Cattura
(S) rappresenta la situazione: persone, luoghi, contesti, condizioni, stati, circostanze, occasioni, momenti o contingenze. Come visto sopra ogni Situazione rappresenta uno Stimolo per la persona che la interpreta attraverso il Pensiero (P) e l’Emozione (E).
Con Pensiero (P) intendo l’uso del cervello sia nella sua funzione Sinistra (Razionalità, Logica, Analisi, memoria a breve), sia nella sua funzione Destra (Irrazionalità, Intuizione, Sintesi, memoria a lungo termine). Interessante è notare che prevarrà una delle due aree a seconda che la Situazione sia nuova o abitudinaria. Di fronte ad una Situazione nuova è probabile che prevarrà la nostra necessità di Analisi della situazione stessa, formuleremo conclusioni (Razionalità), ragioneremo in modo Logico; useremo quindi la parte Sinistra per definire un nuovo Modello Comportamentale. In una Situazione abitudinaria potrebbe prevalere la parte Destra che in modo inconscio ci fa utilizzare Modelli di Comportamento già acquisiti che risiedono oramai nella memoria a lungo termine. Interessante è notare come in situazioni nuove elaboriamo dei Modelli Comportamentali (= a determinati Stimoli adottiamo un determinato comportamento come Risposta): il feedback che la Situazione ci restituisce (in termini di successi, insuccessi, premi, punizioni, …..) modifica o rafforza il Modello Comportamentale appreso (condizionamento operante).
Con Emozione (E) intendo invece il mondo dell’Intelligenza Emotiva, che come ben spiega Wikipedia, “rappresenta la capacità di riconoscere, valutare e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni”. Le emozioni che proviamo influenzano in modo diretto (a volte consapevolmente a volte inconsapevolmente) il nostro Comportamento e quindi la Risposta che daremo allo Stimolo della situazione. In estrema sintesi posso concludere che il nostro Comportamento (C) rappresenta la nostra Risposta alla Situazione attraverso un algoritmo tra Pensiero Conscio (sinistro), Pensiero Inconscio (destro) ed Emozioni.
E la persona che ho appena conosciuto alla quale volevo spiegare cos’è il Comportamentale ? Ammettendo che mi sia stata ad ascoltare mentre gli spiegavo tutto questo (ho forti dubbi …), potrebbe a questo punto chiedermi: “e tu, come formatore, cosa c’entri in tutto questo?” . Domanda corretta. Innanzi tutto il termine “formatore” è probabilmente sbagliato: sarebbe più corretto usare “facilitatore”, perché posso agire “facilitando” tre processi:
  1. permettere che le persone acquisiscano consapevolezza sui propri ed altrui Comportamenti;
  2. analizzare e valutare assieme ai partecipanti quali sono i Comportamenti più efficaci ed efficienti per determinate Situazioni;
  3. proporre “Modelli Comportamentali” ad hoc per determinate Situazioni (che poi la persona dovrà saper adattare/migliorare/personalizzare).
martedì 10 gennaio 2012

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