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Confronto o discussione ?


Potrebbe essere interessante osservarci ed osservare gli altri durante un dialogo: c'è Confronto, Dibattito o Discussione ?
La proposta che lancio è di fare un percorso a ritroso, partire dal comportamento "dialettico" e risalire alle emozioni. Vediamo quattro tipi di frasi che potremmo pronunciare o sentire pronunciare:

- "No !" L'atteggiamento è Negativo e Distruttivo. C'è un rifiuto di ciò che l'interlocutore sta proponendo. Qual è l'emozione o lo stato d'animo che sta guidando ? Sicuramente non c'è la volontà di ascoltare un altro Punto di Vista ma piuttosto c'è la volontà di imporre il proprio. E' forse sfiducia nei confronti dell'interlocutore ? Rabbia ? Paura ? Ognuno può avere la propria risposta. L'importante è cercarla. In questo caso non parlerei di Confronto: è puro Dibattito.
- "No ma ....". Un atteggiamento un po' migliore rispetto al precedente. C'è uno spiraglio nei confronti dell'interlocutore, l'atteggiamento è Costruttivo ma ancora Negativo. Disagio ? Frustrazione ? Catalogherei questa situazione come una "discussione".
- "Si, ma ...". Il contrario del caso precedente: atteggiamento Positivo ma Distruttivo. Userei ancora l'espressione "discussione" e penso che potrebbe essere causata ancora da sensazioni quali frustrazione, disagio, fastidio.
- "Si e ....". Finalmente quello che può essere chiamato "Confronto". Sensazioni di Fiducia, Sicurezza, potrebbero darci un atteggiamento Positivo e Costruttivo.

Oltre alle sensazioni e alle emozioni potremmo ampliare lo stesso ragionamento per Pensieri Consci o Inconsci, quali pregiudizi, etichette o ricordi di esperienze passate.
Adesso non ci resta che "sperimentare" sul campo (nel senso di Kolb) ....

Teaser

Questo Post è tratto da “Resilienza Lab”, il blog a supporto del progetto formativo sullo sviluppo della Resilienza presso ClimaVeneta spa

 

Sono molti i temi che questo percorso formativo sta portando a galla. Sto pensando alla capacità di fare proprio un Obiettivo che mi viene imposto, alla volontà di sfidarsi per crescere, all’incapacità di uscire dalla propria Zona di Comfort, alla motivazione che ci spinge a riconoscere un momento di disagio come un’opportunità di crescita.

Mi suonano ancora nella testa molte delle domande che il gruppo si è fatto dopo l’uscita sul Grappa …

  • Ci sono delle cose che avete pensato e che non avete avuto voglia, motivazione o coraggio di dire ?
  • Cosa direte a chi non è venuto ?
  • Come pensiamo di coinvolgere anche gli altri ?
  • Qualcuno se la sente di fare il Leader ?
  • C’è veramente bisogno di un Leader per trasformare un gruppo in un team ?
  • Ma veramente come singoli ci daremo da fare per organizzare l’uscita di luglio ?
  • Cosa ci portiamo in ambito lavorativo della giornata di oggi ?
  • Siamo in grado di riconoscere il disagio e di apprezzare l’opportunità di allenare la propria resilienza ?

E più ci rifletto e più imparo cose nuove. Per chi ne ha voglia, si può crescere.

Siamo partiti ….

Questo Post è tratto da “Resilienza Lab”, il blog a supporto del progetto formativo sullo sviluppo della Resilienza presso ClimaVeneta spa
Sabato 4 maggio ci siamo trovato ai piedi del Monte Grappa. 12 persone dell’azienda, io,Tania, Matteo, Marco e Davide.
C’eravamo tutti ? Questa è stata una domanda frequente.
E’ questo il gruppo o manca qualcuno ? Anche questa domanda si è ripetuta.
Ma una cosa è importante: 12 persone sono partite per un percorso.

Non era ben chiaro se sarebbe stata una scampagnata o una giornata formativa, io direi che è stata una giornata in cui abbiamo vissuto un’esperienza e dall’esperienza sono nate delle riflessioni e delle domande.
Il tema del percorso è la Resilienza, e dopo questa giornata penso sia chiaro a tutti dove la possiamo incontrare.
zona comfort
Qualsiasi essere umano si crea attraverso abitudini ed allenamento una Zona di Comfort; in questa zona tutto è conosciuto, so come muovermi, come comportarmi. E’ una zona collaudata.
Fuori della Zona di Comfort c’è un’area chiamata Zona di Apprendimento, così chiamata perché è dove affrontiamo situazioni nuove e dove non ci è chiaro come dobbiamo comportarci. In questa zona si possono provare varie tipologie di emozioni, da positive (curiosità, sorpresa, divertimento, …) a negative (disagio, fastidio, noia, frustrazione, rabbia, …). Spesso a causare la positività o la negatività delle emozioni è la volontà o dalla motivazione ad uscire dalla Zona Comfort ed entrare nella Zona di Apprendimento. Ci esco io di mia spontanea volontà o qualcuno mi ci porta ? Spesso nella formazione qualcuno mi ci porta, perché il corso di formazione viene organizzato dall’azienda per me. Ma io ho voglia di andarci ?
Un’altra cosa importante: più mi allontano dalla Zona di Comfort e più le emozioni aumentano di intensità. Fuori dalla Zona di Apprendimento le emozioni possono essere molto forti: in Zona di Panico possiamo provare angoscia, terrore, panico. La reazione istintiva è una sola: tornare più velocemente possibile in Zona Comfort.
Bene, penso che in questa uscita tutti noi abbiamo preso consapevolezza come la Resilienza possa essere esercitata solo fuori dalla Zona di Comfort. In questo senso certe emozioni possono essere viste come un “segnale”: mi avvisano che sono in una situazione in cui posso allenare la mia Resilienza. E’ sicuramente un profondo cambio di prospettiva: da certe emozioni (disagio, noia, fastidio, ….) normalmente  mi allontano; ora invece quando le provo so che ho un’opportunità da sfruttare: posso provare a “resiliere”, posso allenarmi.
Buon viaggio a tutti.
In questo set di Flickr tutte le foto del percorso formativo.

Cosa ho imparato oggi ?

Dal quaderno degli appunti di oggi:

Appunti di oggi

IALT7

Piano piano, siamo alla settima edizione ….

Riflessioni sulla Riflessione (in Silenzio)

Sono rientrato da circa una settimana dal Workshop “Silence” organizzato da Via Experientia in Islanda. Nessun noioso riassunto, se siete curiosi ecco una selezione delle 576 foto pubblicate su Flickr:

Durante il Workshop abbiamo passato due giornate in completo silenzio, ed ognuno di noi era libero di impiegare il tempo nella libertà più totale. Personalmente mi sono dedicato a degli Hiking non lunghi ed estremamente lenti. Oggi, a distanza di più di una settimana, mi sto lentamente rendendo conto di cosa sia successo. Una delle cose più affascinanti è stata la “dilatazione” del tempo: non avevo orari, non c’erano scadenze o appuntamenti che scandissero il tempo. Complice la presenza di luce solare fino a tardi (c’era luce quasi fino a mezzanotte), avevo perso la sensazione del tempo e questo mi ha permesso di “riflettere”, in un senso del termine che non avevo mai sperimentato.
“Riflessione”, parola semplice e decisamente (da me) abusata. E’ normale, durante i corsi esperienziali, passare dall’Esperienza alla Riflessione (come il ciclo di Kolb ci insegna). Non avevo mai avuto l’occasione di Riflettere per due giornate intere in modo continuo, e non mi ero reso conto di quanto in profondità si possa andare.
L’etimologia di riflettere è interessante: dal latino reflectĕre, ossia ripiegare, volgere indietro. Il suo primo significato deriva dalla fisica, intendendo la capacità della superficie di un corpo di rinviare, sotto forma di onde riflesse, una parte dell’energia delle onde incidenti. Di conseguenza il significato riferito all’atto mentale della riflessione indica “riverberare” il pensiero. La filosofia si è sicuramente interessata alla capacità di riflettere, la pagina di Wikipedia merita sicuramente un’attenta lettura.
Ma a me interessa la “riflessione” da un punto di vista formativo, riferendomi ai momenti di riflessione che proponiamo durante i corsi formativi esperienziali. Quali sono gli obiettivi della riflessione ? Direi:
  • ripensare all’esperienza da altri punti di vista;
  • ascoltare altri punti di vista e riformulare i propri;
  • “scavare”, “rivedere”;
  • far emergere connessioni, spunti, collegamenti, …
  • elaborare;
  • acquisire consapevolezza;
  • usando un termine poco elegante e preso dall’agricoltura “vangare” ….
…. e da quest’ultimo termine nasce una scoperta interessante. Vangare significa rivoltare le zolle di un terreno con la vanga, un’attività che serve all’uomo per coltivare la terra. In latino coltivare si dice còlere da un’antica radice, kwel, che vuole dire “ruotare”, “girare”, “camminare in cerchio”. Dal participio futuro di còlere, nasce la parola cultura. L’analogia è chiara: come l’uomo girando la terra coltiva le piante, noi girando i nostri pensieri (riflettendo) facciamo nascere la nostra cultura ….
Ma di cosa c’è bisogno per riflettere ? Ecco che l’esperienza in Islanda mi ha fatto notare che una delle necessità fondamentali è il tempo; e il tempo deve essere di qualità e di quantità.
Per tempo di qualità intendo:
  • un periodo di tempo in assenza di “noise” (suoni, rumori, squilli, urla, motori, …);
  • un periodo di tempo in assenza di distrazioni (persone esterne, telefoni, eventi che attirino la nostra attenzione, …);
  • un periodo di tempo in un luogo fisico “adatto” (senza “noise”, povero di distrazioni, luminoso, con una temperatura piacevole. Può essere molto soggettivo, ma direi che la natura aiuta molto …);
Per tempo di quantità intendo invece ….. tempo. Tanto tempo. Una domanda mi è sorta spontanea: “nei progetti formativi esperienziali qual è il giusto rapporto tra il tempo dedicato all’esperienza e quello dedicato alla riflessione ?”.
Oltre al tempo, di cosa c’è bisogno per una buona riflessione ? Probabilmente delle buone domande. Le domande sono degli strumenti fondamentali per stimolare la riflessione, in noi stessi e negli altri. Penso che innanzi tutto debbano essere prevalentemente domande aperte (quelle che non prevedono anticipatamente risposte preconfezionate da chi pone le domande e che lasciano maggiore libertà a chi risponde di scegliere forma, contenuto e lunghezza della risposta). Possiamo usare anche le domande chiuse (quelle i cui tipi di risposta sono fissati da chi pone le domande, un classico sono le domande a cui si risponde con un si o con un no), ma con moderazione: la riflessione deve rimanere un momento di esplorazione, di dubbio …. per definire certezze e regole c’è un altro momento (= la Concettualizzazione del ciclo di Kolb).
Infine mi sono chiesto: su cosa fare le domande ? Focalizzando la nostra attenzione sulla formazione “comportamentale” mi viene spontaneo pensare ai comportamenti. Abbiamo vissuto un’esperienza, una situazione dalla quale noi riceviamo degli stimoli ….
SPEC
Step 1. Le “porte” degli stimoli sono i 5 sensi, e quindi possiamo sicuramente porre/porci domande su cosa abbiamo visto, cosa abbiamo sentito (sia audio, sia tattile), sugli odori/profumi, caldo/freddo, gusto ….. L’obiettivo delle domande sui sensi ci permetterà di esplorare ed inquadrare bene la “situazione” o meglio come l’abbiamo percepita.
Step 2: cosa è successo dentro di noi ? Quali Pensieri Consci (Pc) sono scaturiti a seguito delle percezioni ? Probabilmente il nostro cervello ha ripescato vecchie esperienze, altre situazioni, Pregiudizi ed Aspettative navigando nei Pensieri Inconsci (Pi) che sono sfuggiti ad un nostro controllo razionale immediato. Su questi Pi c’è molto da “vangare” …. E poi si apre il mondo delle Emozioni …. Che emozioni abbiamo provato ? Di che intensità ?
Step 3. Quali sono stati i Comportamenti generati dal “mix” di Pc+Pi+E ? Come hanno “risposto” alla situazione questi Comportamenti ? Che conseguenze/Effetti hanno generato ? Quali comportamenti sarebbero stati più efficienti ed efficaci ? ……..
Riflettiamoci.

Insegnare o Facilitare ?

Carl Rogers ci aiuta a rispondere alla domanda definendo il ruolo dell’insegnante come quello del facilitatore di apprendimento. Rogers identifica un elemento critico nello svolgere questo ruolo: quello del rapporto tra il facilitatore ed il discente. Questo rapporto è strettamente collegato al fatto che il facilitatore possieda o meno tre doti attitudinali:

  1. verità o autenticità;
  2. apprezzamento, fiducia e rispetto;
  3. comprensione empatica;

Per perseguire ed allenare queste doti, Rogers ci propone 10 indicazioni che il facilitatore può seguire:

  1. il facilitatore determina e cura l’atmosfera ed il clima della classe perseguendo situazioni di trasparenza, sincerità, fiducia, positività;
  2. il facilitatore agevola l’individuazione degli Obiettivi dei discenti, in questa fase accetta scopi contraddittori o obiettivi conflittuali, trasmette la sensazione che gli individui possano dichiarare liberamente cosa vogliono fare; questo contribuisce a creare un clima favorevole all’apprendimento;
  3. il facilitatore aiuta e guida i discenti ad utilizzare la propria motivazione a realizzare i propri scopi, come forza propulsiva del loro personale apprendimento;
  4. il facilitatore organizza e rende disponibile la più vasta gamma possibile di risorse per l’apprendimento (slide, audiovisivi, contenuti, schede, materiali, ……);
  5. il facilitatore si considera come una risorsa flessibile a disposizione del gruppo;
  6. il facilitatore accetta i contenuti intellettuali e gli atteggiamenti emotivi espressi dalle persone dando loro lo stesso peso ed importanza;
  7. più il facilitatore si fa accettare dal gruppo, più parteciperà in prima persona all’apprendimento diventando un membro del gruppo, esprimendo le sue opinioni come un individuo del gruppo stesso;
  8. il facilitatore offre il proprio contributo personale sotto forma di pensieri ed emozioni, in modo non impositivo, lasciando liberi gli individui di accettarle o rifiutarle. In questo modo può fornire feedback agli studenti, esprimendo soddisfazioni o disappunti;
  9. il facilitatore è continuamente attento alle espressioni emotive, sia negative (dolore, rabbia, contrasto, disprezzo, rivalità, …) che positive (affetto, entusiasmo, soddisfazione, …). Aiuta i discenti a portarli allo scoperto per una consapevolezza costruttiva per l’uso da parte del gruppo;
  10. il facilitatore riconosce e accetta i propri limiti. Il facilitatore può garantire la libertà ai discenti, solo nella misura in cui si sente a suo agio nel concederla. Se il facilitatore si scopre diffidente verso gli studenti, non accetta determinati atteggiamenti, dovrà esprimerli e farli venire a galla con trasparenza e sincerità. In questo modo otterrà un clima purificato ed adatto all’apprendimento.

Cultura Organizzativa

T.E. Deal e A.A. Kennedy definiscono la Cultura Organizzativa un riflesso della “particolare miscela di valori e norme condivisi da persone e gruppi entro un’organizzazione, che fissano le modalità con cui interagiscono tra loro e con gli stakeholder al di fuori dell’azienda1. Charlene Li aggiunge che “i Leader affermano questi valori non a parole, ma premiando azioni e punendo comportamenti:”2

1T.E. Deal e A.A. Kennedy, Corporate Cultures: The Rites and The Rituals of Corporate Life, Penguin, Harmondsworth, 1982 (trad. it. Cultura d’impresa, Itaca, Milano, 1994)

2Charlene Li, Open Leadership, Rizzoli Etas, 2011.

Fiori ed Emozioni

Questo mese ho lavorato con un gruppo aziendale sulla gestione dei conflitti attraverso l’Intelligenza Emotiva. Abbiamo utilizzato lo schema SPEC:

Cattura

In sostanza lo schema va così letto:

  1. Situazione: noi viviamo sempre delle Situazioni di vita. Queste Situazioni provocano in noi dei ….
  2. Pensieri, molto spesso inconsci, a volte consci. Questi pensieri che ci “frullano” in testa generano delle ….
  3. Emozioni, degli stati emotivi che dirigono e comandano il nostro …
  4. Comportamento, il modo in cui noi ci comportiamo.

Ecco un esempio molto banale e semplice:

  1. Situazione di Pericolo.
  2. Pensiero: “attenzione, qui si rischia ,,,,,!”
  3. Emozione: Paura
  4. Comportamento: Allontanarsi, fuggire, …

E’ stato molto interessante chiedere ai partecipanti di completare una tabella dove elencare le frequenti Situazioni di Conflitto aziendali (ma alla fine ne sono emerse molte anche familiari o di vita quotidiana).

Situazione

Pensiero

Emozione

Comportamento

       
       
       

La cosa forse più interessante è stato però accorgersi che la grande difficoltà nel compilare la tabella non era tanto identificare situazioni di Conflitto, quanto dare il giusto nome alle Emozioni. Sarà forse che non siamo così tanto abituati a prenderci del tempo per noi e ad ascoltarci ? Per aiutarci possiamo utilizzare un’interessante classificazione delle emozioni proposta da Robert Plutchik (1928-2006), secondo il quale le emozioni sono risposte evolutive per permettere alle specie animali di sopravvivere. Plutchik propone un’interessante rappresentazione grafica delle emozioni, che ci ricorda un fiore (chiamata poi non a caso “fiore di Plutchik”):

fiore

Esistono 8 emozioni primarie che generano dei comportamenti con alto valore di sopravvivenza (esempio della paura / fuga visto sopra): gioia, fiducia, paura, sorpresa, tristezza, disgusto, rabbia, aspettativa. Queste emozioni si trovano nel secondo cerchio del fiore ed è da notare si contrappongono a coppie in modo polare (gioia-tristezza, fiducia-disgusto, paura-rabbia, sorpresa-aspettativa).

Seguendo il petalo del fiore verso l’interno l’emozione primaria aumento di intensità (la tristezza diventa angoscia, la gioia diventa estasi …). Si forma così il cerchio centrale del fiore. Verso l’esterno invece l’emozione cala di intensità (la rabbia diventa irritazione, l’aspettativa interesse e così via).

Le emozioni poi si combinano tra di loro, per creare le emozioni secondarie o complesse; ad esempio gioia e fiducia generano amore, fiducia e paura generano sottomissione.

Riprendendo lo schema SPEC visto sopra e l’elenco delle emozioni di Plutchik ecco uno schema per conoscersi meglio e attuare uno sviluppo personale utilizzando una tabella come quella qui sotto:

Tabella

  1. identificare e descrivere delle Situazioni in cui vogliamo attuare un cambiamento (colonna Situazione);
  2. descrivere i Comportamenti Attuali da noi assunti (colonna Comportamento, riga Attuale)
  3. provare a ricordare i pensieri consci realizzati o a identificare quelli inconsci (colonna Pensiero, riga Attuale);
  4. con l’aiuto del fiore di Plutchik scrivere l’emozione primaria o secondaria provata;
  5. identificare poi l’emozione Target che si vuole provare nella stessa situazione in futuro (Colonna Emozione, Riga Target);
  6. chiedersi quale dovrà essere il Pensiero Conscio necessario per realizzare il Comportamento Target.
  7. Attuare il Comportamento Target dovrebbe portarci a provare l’Emozione desiderata.

Buon allenamento …..

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