Archive for 2012
Riflessioni sulla Riflessione
Il cuore della formazione esperienziale è sicuramente il momento della riflessione, del debriefing. Troppo spesso l’attenzione è rivolta al momento dell’esperienza, soprattutto se si tratta di qualche attività fortemente “emozionale” (rafting, soft air, barca a vela, ….); ed il momento della riflessione passa in secondo piano. L’esperienza di per sé dovrebbe essere vista solo come lo strumento che permetterà alle persone di riflettere, maturare, apprendere.
Meglio quindi dedicare maggiore attenzione alla fase della riflessione e, possibilmente, strutturarla secondo modelli progettati. In questi giorni ne sto progettando uno …..
FASE 1:
- consegnare ai partecipanti 1 o 2 post-it (a seconda del numero dei partecipanti stessi) ed un pennarello a punta grossa;
- porre una domanda aperta ai partecipanti (riguardante l’argomento formativo) e chiedere loro di scrivere una sintesi delle loro riflessioni sul post-it. La dimensione del post-it ed il pennarello li costringerà a scrivere poco, sarebbe meglio se scrivessero una parola chiave. In questo modo favoriremo la sintesi;
- dare il tempo necessario per una buona riflessione (tempo che dipenderà dal grado di maturità del gruppo, dall’argomento, …… etc etc);
- appendere al muro un foglio (A3 o di lavagna a fogli mobili) e scriverci sopra “Riflessioni”;
- al termine del tempo assegnato chiedere ad ogni partecipante di uscire ed appendere il post-it sul foglio e di dare una veloce spiegazione della riflessione fatta;
- chiedere ai partecipanti successivi di aggregare i loro post-it con quelli già presenti nel foglio nel caso le riflessioni coincidano con altre già proposte. In questo modo le riflessioni saranno aggregate a “isole”;
Questa modo di agire ci porta due vantaggi:
- tutti i partecipanti sono chiamati ad impegnarsi nella riflessione e ad esporla (spesso nelle riflessioni in plenaria non tutti si impegnano o si esprimono);
- favoriamo la sintesi delle idee (otteniamo un foglio con poche parole chiave, al posto di fogli di frasi scritte che mal si prestano ad analisi successive).
FASE 2:
- attacchiamo a destra del primo altri due fogli sul muro. Il primo sarà dedicato ai Concetti, il secondo alla Sperimentazione (chiaramente mi rifaccio al ciclo di Kolb);
- chiediamo ai partecipanti di:
- elaborare le riflessioni emerse e di “astrarre” i Concetti che emergono da ogni Riflessione (sarebbe bene che per ogni Riflessione, o gruppo di Riflessione, emergesse solo un Concetto, questo per favorire sempre la sintesi); questo va scritto nel foglio “Concetti”;
- immaginare due o tre esempi di applicazione del Concetto alla Realtà lavorativa quotidiana (oppure nella prossima attività esperienziale, se dovesse esserci); questo va scritto nel foglio “Sperimentazione;
- i partecipanti dovranno uscire a scrivere sui fogli i Concetti e le idee di Sperimentazione.
- far unire con delle frecce le Riflessioni ai Concetti ed alle idee di Sperimentazione;
In questa fase si può dare la libertà ad ogni partecipante di uscire su base volontaria oppure si può suddividere il gruppo in numero pari alle riflessioni emerse: ogni gruppo svilupperà il relativo Concetto e gli esempi di Sperimentazione.
Martedì ci provo ……
Confucio Upgrade
Oggi pensavo, con scarsa umiltà, che la famosa frase di Confucio spesso citata per spiegare la formazione esperienziale andrebbe aggiornata ….
Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco … se rifletto apprendo.
Formatore situazionale …
… ovvero come decidere se essere Insegnante, Formatore, Facilitatore.
Alcune riflessioni partendo da un modello proposto da Daniel Pratt* (1988) sulla predisposizione degli adulti ad apprendere. Più che concentrarmi sulla disposizione dei discenti il modello mi ha fatto pensare a come lo stile di insegnamento possa essere situazionale, a seconda appunto ai discenti. Partiamo dal seguente modello:
- sull’asse delle x mettiamo le Competenze e l’autonomia (di apprendimento) del discente;
- sull’asse delle y mettiamo la fiducia in sé stesso ed il livello di motivazione (sempre del discente).
Pratt propone che il “professionista dell’apprendimento” (come li definisce) sappia identificare dove si colloca il discente e che adotti uno stile appropriato in termini di sostegno e di direzione, dove i due termini indicano:
- sostegno: incoraggiamento che il discente ha bisogno di ricevere su un piano emotivo;
- direzione: bisogno del discente di ricevere assistenza per il processo di apprendimento.
Ecco quindi che possiamo trovare 4 tipi di discenti nei 4 quadranti:
- Quadrante 1: poco motivati, scarsa fiducia in sé, poco competenti e poco autonomi. La prima situazione che mi viene in mente sono bambini o ragazzini …. In questo caso il “professionista dell’apprendimento” deve diventare un insegnante: dirigere molto e sostenere molto;
- Quadrante 2: motivati e con fiducia in sé stessi. I discenti avranno bisogno di essere diretti ma non sostenuti. Il “professionista” diventa un formatore.
- Quadrante 3: competenti ed autonomi, ma sfiduciati e demotivati. Il professionista rimane un formatore, ma questa volta sostiene molto e dirige poco;
- Quadrante 4: il quadrante “obiettivo” (quello a cui tendere …). I discenti sono motivati, hanno fiducia in sé stessi, competenti ed autonomi. Il professionista diventa un facilitatore: sostiene poco, dirige poco, diciamo che “mette i discenti nelle condizioni di apprendere”, creando situazioni e garantendo il processo.
Le capacità che il professionista dovrà sviluppare sono:
- riconoscere dove si collocano i discenti all’inizio dell’apprendimento;
- scegliere un “percorso” di crescita dei discenti (quadranti 1->2->4, oppure 1->3->4);
- dosare direzione e sostegno a seconda dei quadranti accompagnando i discenti lungo il percorso;
- portare i discenti al quadrante “target” 4;
- adattare il proprio stile.
* Daniel Pratt “Andragogy as a Relational Construct”
Creatività e Leadership
I Leader creativi […] capiscono che in un mondo che cambia sempre più velocemente la creatività è un requisito essenziale per la sopravvivenza degli individui, delle organizzazioni e delle società.
Knowles M.S. Journal of Management Development, University of Queensland Business School, Australia, settembre 1983
I livelli della Leadership
Ho finito non da molto di studiare “Good to Great” di Jim Collins. Un testo da consigliare. Jim Collins ed un gruppo di ricercatori prende in esame 1.435 società apparse nella lista Fortune 500 tra il 1965 ed il 1995. Applicando dei rigidissimi criteri di analisi finanziaria, lo staff di ricercatori identifica solo 11 società “eccellenti”. Da qui, una metodica ed approfondita ricerca porta a definire 7 concetti che queste società hanno dimostrato di possedere e che sembrano aver trasformato queste organizzazioni da “buone” ad “eccellenti”.
I 7 concetti sono:
- Leadership di Livello 5
- Prima Chi … poi Cosa
- Affrontare la Realtà
- Concetto del Riccio
- Cultura della Disciplina
- Accelleratori Tecnologici
- Volano
Non approfondirò in questa sede tutti i concetti (li lascio alla curiosità di chi vorrà leggere il libro), ma ci tengo ad evidenziare che l’analisi che Jim Collins fornisce della Leadership è secondo me molto interessante perché ci propone dei “livelli” di Leadership. Ed effettivamente, quando mi ritrovo a confrontarmi sulla Leadership nelle aule formative, nasce un po’ di confusione su cosa fa e cosa non fa il “leader”. A volte sembra che sia il più competente in materia …. a volte non ne sa nulla ma sa gestire la squadra. A volte è un bravo gestore di persone …. a volte è un solitario che viene seguito. A volte raggiunge obiettivi …. a volte li fa raggiungere agli altri.
Tutte cose vere, secondo me, alle quali si finisce per rispondere “dipende dalla situazione”. Ma ecco che il testo ci fornisce una chiave di lettura interessante: tutti i comportamenti sopra descritti sono propri della Leadership, ma probabilmente corrispondono a dei “livelli”:
- Livello 1, INDIVIDUO DI ELEVATA CAPACITA’: apporta contributi produttivi grazie al suo talento, alla conoscenza alla competenza e alle buone abitudini di lavoro;
- Livello 2, MEMBRO PROPOSITIVO DI UNA SQUADRA: contribuisce con le proprie capacità individuali al raggiungimento degli obiettivi e lavora con efficacia nell’ambiente di gruppo;
- Livello 3, MANAGER COMPETENTE: organizza personale e risorse per il conseguimento effettivo ed efficiente di obiettivi predeterminati;
- Livello 4, LEADER EFFICACE: catalizza l’impegno sul perseguimento di una visione chiara e convincente, stimolando standard superiori di performance.
- Livello 5, DIRIGENTE: realizza un’eccellenza durevole nel tempo mediante una combinazione di umiltà personale e determinazione professionale.
Illuminante …. per me.
Come NON essere produttivi al lavoro in 7 passi
Veramente fatto bene ! Consigliatissimo per il Time Management:
Insegnante o facilitatore ?
Riparto da qui …..
“Quando analizzai ciò che mi era successo, identificai alcuni cambiamenti fondamentali. Il mio concetto di me stesso era cambiato da insegnante a facilitatore di apprendimento. Il mio ruolo era passato da quello di trasmettitore di contenuti a quello di gestore di un processo e solo secondariamente di risorsa per i contenuti.
In secondo luogo, sentivo che avevo adottato un diverso sistema di ricompensa psicologica. Invece di ottenere le mie gratificazioni controllando gli studenti, le ottenevo lasciandoli liberi. E trovavo che questo fosse molto più soddisfacente.
infine, mi trovai ad assolvere una diversa serie di funzioni, che richiedevano una diversa serie di abilità. invece di svolgere la funzione di pianificatore e trasmettitore di contenuti, cosa che richiedeva principalmente abilità per la loro presentazione, assumevo la funzione di progettista e gestore di processi, cosa che implicava stabilire rapporti, valutare bisogni, coinvolgere gli studenti nella programmazione, mettere in contatto gli studenti con le risorse per l’apprendimento e incoraggiare le loro iniziative.
Da allora, non sono più stato tentato di ritornare al ruolo di insegnante.”
Malcolm Shepherd Knowles., Educational materials Catalog, follet Publishing co., 1981.
Riflessioni sulla Riflessione (in Silenzio)
- ripensare all’esperienza da altri punti di vista;
- ascoltare altri punti di vista e riformulare i propri;
- “scavare”, “rivedere”;
- far emergere connessioni, spunti, collegamenti, …
- elaborare;
- acquisire consapevolezza;
- usando un termine poco elegante e preso dall’agricoltura “vangare” ….
- un periodo di tempo in assenza di “noise” (suoni, rumori, squilli, urla, motori, …);
- un periodo di tempo in assenza di distrazioni (persone esterne, telefoni, eventi che attirino la nostra attenzione, …);
- un periodo di tempo in un luogo fisico “adatto” (senza “noise”, povero di distrazioni, luminoso, con una temperatura piacevole. Può essere molto soggettivo, ma direi che la natura aiuta molto …);
Apprendimento formale, non formale e informale
Andragogia e facilitazione
Nel 1968 Malcom Knowles fonda l’Andragogia, la teoria forse più seguita per l’apprendimento degli adulti. Come si può leggere nella pagina di Wikipedia ci sono 6 principi base del modello Andragogico. Ma cosa fa il facilitatore in aula per applicare i 6 principi ? Quali azioni concrete e pragmatiche può attuare per perseguire i 6 principi ?
Provo ad elencare un po’ di idee nella tabella sottostante:
Principio: | Azioni del Facilitatore: |
1. Concetto di sè | . dare responsabilità al discente (ad esempio far decidere loro la scaletta degli argomenti, gli orari, le regole dell’aula, …..) |
2. Bisogno di conoscere | . chiedere ai discenti a cosa servirà loro l’argomento oggetto del corso |
3. Ruolo dell’esperienza del discente | . garantire e favorire la fase riflessiva dopo l’esperienza |
4. disponibilità ad apprendere | . definire assieme ai discenti l’obiettivo del corso |
5. orientamento verso l’apprendimento | . definire assieme ai discenti quanto tempo sarà corretto investire nell’apprendimento della nuova competenza, ponderandolo con i vantaggi apportati |
6. motivazione | . dedicare del tempo in apertura del corso all’analisi delle pressioni interne (soddisfazione, qualità di vita, …) che i discenti possono avere per intraprendere il percorso di apprendimento |
IALT Study Tour Belgio
Maggio, giugno e luglio sono stati veramente mesi intensi. A parte il lavoro quotidiano, vi sono state esperienze uniche e particolari. Oltre allo IALT6 già citato come non onorare con uno slideshow il viaggio studio in Belgio ?
Sarebbe difficile raccontare tutto quello su cui abbiamo lavorato in Belgio. Direi però che una delle cose più chiari ed illuminanti che mi sono “portato a casa” è stato uno schema di evoluzione dei gruppi da utilizzare durante i Team Building. Fornisce chiaramente al facilitatore una traccia di come gestire le attività e i debriefing durante un’attività formativa:
Se vi interessa potete scaricare il PDF al seguente link.
Insegnare
Oscar Hammerstein II e Richard Rodgers, il re ed io, 1956.
IALT & Leadership
IALT6 è stato impegnativo, forse il più difficile. Qualcuno mi ha detto che è stato veramente “reale”, per alcuni momenti vissuti assieme. Una cosa è certa, ogni IALT che passa, l’intensità è sempre maggiore. Chissà cosa succederà a IALT7 in programma per settembre …
A questo IALT abbiamo avuto la fortuna di avere con noi anche Matteo Sandi, un vero fotografo (mica come me …) che ci ha realizzato un Spot video:
Ialt from Matteo Sandi on Vimeo.
Una delle riflessioni fatte dopo IALT6 mi ha portato a tracciare un disegno su un pezzo di carta:
Ho pensato a come la Leadership sia correlata alle situazioni di crisi (intesa come “momenti di difficoltà”, uscita dalla zona di Comfort/apprendimento, aumento di frustrazione/stress, insomma la Crisi come la intende Einstein). Mi sono venute in mente alcune possibili “curve”:
A) persone con alta Leadership solo in momenti di controllo. Appena la situazione aumenta di difficoltà la loro Leadership crolla “verso lo zero”;
B) Leonardo mi ha fatto notare come spesso si possano incontrare persone che abbiano una Leadership “opposta” (geometricamente direi “simmetrica alla curva A): bassa autorità ed autorevolezza in situazioni “tranquille”, diventano Leader in situazioni di difficoltà;
C) rappresentando la Leadership come una retta, e non una curva, ho pensato che possono esserci varie “inclinazioni”. Alcune rette tendono a zero molto velocemente, altre si mantengono alte anche i situazioni di difficoltà;
Per concludere, riguardando il disegno, mi sono chiesto:” … e quale sarà la mia retta/curva della Leadership ? E come vorrei che fosse ?”. Domanda interessante ……
Insegnare o Facilitare ?
Carl Rogers ci aiuta a rispondere alla domanda definendo il ruolo dell’insegnante come quello del facilitatore di apprendimento. Rogers identifica un elemento critico nello svolgere questo ruolo: quello del rapporto tra il facilitatore ed il discente. Questo rapporto è strettamente collegato al fatto che il facilitatore possieda o meno tre doti attitudinali:
- verità o autenticità;
- apprezzamento, fiducia e rispetto;
- comprensione empatica;
Per perseguire ed allenare queste doti, Rogers ci propone 10 indicazioni che il facilitatore può seguire:
- il facilitatore determina e cura l’atmosfera ed il clima della classe perseguendo situazioni di trasparenza, sincerità, fiducia, positività;
- il facilitatore agevola l’individuazione degli Obiettivi dei discenti, in questa fase accetta scopi contraddittori o obiettivi conflittuali, trasmette la sensazione che gli individui possano dichiarare liberamente cosa vogliono fare; questo contribuisce a creare un clima favorevole all’apprendimento;
- il facilitatore aiuta e guida i discenti ad utilizzare la propria motivazione a realizzare i propri scopi, come forza propulsiva del loro personale apprendimento;
- il facilitatore organizza e rende disponibile la più vasta gamma possibile di risorse per l’apprendimento (slide, audiovisivi, contenuti, schede, materiali, ……);
- il facilitatore si considera come una risorsa flessibile a disposizione del gruppo;
- il facilitatore accetta i contenuti intellettuali e gli atteggiamenti emotivi espressi dalle persone dando loro lo stesso peso ed importanza;
- più il facilitatore si fa accettare dal gruppo, più parteciperà in prima persona all’apprendimento diventando un membro del gruppo, esprimendo le sue opinioni come un individuo del gruppo stesso;
- il facilitatore offre il proprio contributo personale sotto forma di pensieri ed emozioni, in modo non impositivo, lasciando liberi gli individui di accettarle o rifiutarle. In questo modo può fornire feedback agli studenti, esprimendo soddisfazioni o disappunti;
- il facilitatore è continuamente attento alle espressioni emotive, sia negative (dolore, rabbia, contrasto, disprezzo, rivalità, …) che positive (affetto, entusiasmo, soddisfazione, …). Aiuta i discenti a portarli allo scoperto per una consapevolezza costruttiva per l’uso da parte del gruppo;
- il facilitatore riconosce e accetta i propri limiti. Il facilitatore può garantire la libertà ai discenti, solo nella misura in cui si sente a suo agio nel concederla. Se il facilitatore si scopre diffidente verso gli studenti, non accetta determinati atteggiamenti, dovrà esprimerli e farli venire a galla con trasparenza e sincerità. In questo modo otterrà un clima purificato ed adatto all’apprendimento.
Crisi ?
Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall'angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura.
E' nella crisi che nasce l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e da più valore ai problemi che alle soluzioni.
La vera crisi è la crisi dell'incompetenza.
L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d'uscita.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c'è merito.
E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono lievi brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo.
Invece, lavoriamo duro.
Finiamola una volta per tutto con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.
Albert Einstein
Problem Solving
Prendi due o tre modelli di Problem Solving, aggregali, ed ecco quello che potrebbe emergere.
1. Definisci il problema
Wikipedia definisce il problema come “ un ostacolo che rende difficile raggiungere un determinato obiettivo o soddisfare una certa esigenza, frapponendosi tra la volontà dell'individuo e la realtà oggettiva”. Per definire bene il problema potrebbe tornare utile porsi le seguenti domande:
- Qual’è il problema ?
- E’ un mio problema ?
- Posso risolverlo ? Vale la pena risolverlo ?
- E’ questo il vero problema o semplicemente il sintomo di uno più grande ?
- Se questo è un vecchio problema, cosa c’è di sbagliato nella soluzione precedente ?
- C’è bisogno di una soluzione immediata o può aspettare ?
- C’è la possibilità che si risolva da solo?
- Posso ignorare il rischio ?
- Il problema ha dimensioni etiche ?
- Quali condizioni devono essere soddisfatte con la soluzione ?
- La soluzione può modificare qualche cosa che deve rimanere invariata ?
2. Raccogli le Informazioni
- Cerca tutte le informazioni che riguardano il problema siano esse fatti o dati numerici. Intervista esperti o fonti attendibili. Cerca eventi osservati, passati o presenti, sia personalmente o segnalati da altri.
- Identifica gli individui, i gruppi, le organizzazioni affette dal problema. Identifica i decisori e le persone importanti ed influenti.
- Identifica in modo chiaro e dettagliato il contesto (confini, vincoli, risorse, tempistiche, ….)
- Le opinioni dei decisori saranno importanti per il successo della vostra decisione. Nelle opinioni è importante riconoscere le verità dai pregiudizi. Le ipotesi possono farci risparmiare del tempo e del lavoro, perché spesso è difficile ottenere tutti i dati.
3. Sviluppa alternative
E’ il momento della Creatività. La tecnica del BrainStorming è sicuramente una delle migliori da applicare in questa fase.
4. Pesa le alternative
Dopo aver elencato le possibili alternative è importante pesarle e dare loro una “votazione”. In questa fase possono essere d’aiuto tecniche come la matrice di Thomas Saaty o la matrice SFF.
5. Seleziona le migliori alternative
Una volta pesate seleziona le migliori alternative, senza dimenticarsi però ….
- Non considerare alcuna alternativa come la “soluzione perfetta”;
- Ascolta le tue intuizioni o i tuoi stati d’animo;
- Vai da un estraneo di fiducia e chiedi il suo (esterno) Punto di Vista, potrebbe vedere cose che voi non vedete più;
- Considerate anche il compromesso, soprattutto quando si ha una piena comprensione del problema, e le vostre alternative possono dare origine ad una soluzione ibrida.
6. Implementa le soluzioni
E’ il momento di progettare l’implementazione delle soluzioni decise. Create un Piano d’Azione (Chi fa Che Cosa, Quando, Dove , Come e Perchè). Ricordatevi di informare chiunque sia interessato o toccato dal Piano d’Azione.
7. Monitora i progressi
L’implementazione avrà successo solo se verrà monitorato lo svolgimento, gli effetti sulle risorse e le parti interessate, la timeline ed i vostri progressi. Attenzione: se i risultati non sono quelli che ci si aspettava essere in grado di bloccare il Piano d’Azione. Studiando i risultati ottenuti dovrò decidere se implementare altre soluzioni elencate nel punto 5 o ritornare al punto 3 e sviluppare nuove soluzioni.
8. Check + Act
Come il ciclo di Deming ci insegna, qualsiasi sia il risultato ottenuto, sarà fondamentale per la nostra crescita fare un Check del processo elencando errori e successi e procedere con le azioni correttive o di standardizzazione (Act) necessarie.
Mappe Mentali alle Elementari
Finalmente le Mappe Mentali vengono insegnate già dalle scuole elementari ….. I miei complimenti alla maestra di Emma.
Distorsioni cognitive
Ripartendo dal Post precedente …… a volte leggiamo in modo errato gli stimoli che la Situazione ci porge. Beck ci propone una serie di “distorsioni cognitive”, degli errori di logica in cui cade il ns. emisfero sinistro e che influenzano poi in modo limitante l’interpretazione della Situazione che stiamo vivendo.
Ecco alcune delle principali distorsioni proposte da Beck:
- Pensiero dicotomico. Il soggetto accetta solo posizioni estreme: o tutto o niente. Questo tipo di ragionamento è molto pericoloso perché non permette l’esplorazione di alternative o strategie di apprendimento del tipo prova/errori.
- Interferenza arbitraria. Trarre conclusioni senza prove.
- Astrazione selettiva. Il soggetto si focalizza su un dettaglio e non percepisce il significato globale di tutta la situazione.
- Generalizzazioni. Estendere a tutte le possibili situazioni un’esperienza sfortunata e isolata.
- Doverizzazioni: eccessivo uso di espressioni tipo “dovrei", "devo", "bisogna", si deve" segnala un atteggiamento rigido e in diretta connessione con la presenza di regole personali.
- Etichettamento: etichettare una persona con una etichetta globale piuttosto che fare riferimento a specifici eventi o azioni.
- Ragionamenti Emotivi: considerare le proprie emozioni come valore della situazione reale (ad esempio si prova situazione di sfiducia e si conclude che la situazione è senza speranza).
- Riferimento al destino. L’individuo agisce come se il destino comandasse qualsiasi situazione. Tipica di persone con Locus of Control esterno.
Comportamentale
- altro: “di cosa di occupi ?”
- io: “formazione, faccio il formatore”
- altro: “ ah, davvero, e cosa insegni ?”
- io: “ beh, insegnare è una parola un po’ grande …. comunque mi occupo di comportamentale”
- altro (espressione perplessa): “comportame …. che ? non ho capito ….”
- permettere che le persone acquisiscano consapevolezza sui propri ed altrui Comportamenti;
- analizzare e valutare assieme ai partecipanti quali sono i Comportamenti più efficaci ed efficienti per determinate Situazioni;
- proporre “Modelli Comportamentali” ad hoc per determinate Situazioni (che poi la persona dovrà saper adattare/migliorare/personalizzare).